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Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana

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Hanno chiamato a casa per prendere in carico un paziente, ma era già morto. O già ricoverato. La situazione non è capitata in qualche remoto angolo d’Italia, ma nel cuore della Lombardia. L’organizzazione della medicina territoriale è così in panne nella celebrata locomotiva economica d’Italia, da aver messo i diretti responsabili delle cure più di una volta in questa situazione imbarazzante: parlare con parenti di persone defunte o nei reparti degli ospedali da giorni. A dichiararlo in una riunione pubblica Simona Giroldi, direttrice sociosanitaria dell’ASST Niguarda.

Durante la riunione con i responsabili politici del Municipio 9 la dirigente ha dovuto ammettere di aver riscontrato questo e altri problemi nella gestione dell’emergenza Covid-19 dell’Ats delle Città Metropolitana. La mancanza di tempestività è senz’altro il punto centrale di qualunque intervento, perché se anche si sta cercando ormai da mesi di mettere delle pezze a una sanità territoriale di fatto inesistente, se le informazioni arrivano con la velocità della posta cartacea, sono di fatto inutili. Anzi dannose, perché per le famiglie lombarde sentire che ci sono medici o infermieri pronti a curarsi di un parente appena seppellito, potrebbe non essere preso come sintomo di efficienza.

Il tema su cui diverse testate giornalistiche, con il Quotidiano del Sud in prima fila, stanno battendo da mesi è proprio la mancanza di una sanità territoriale adeguata: si possono avere disponibili anche 100 terapie intensive per ogni 10 lombardi e 20 ospedali in Fiera, ma non sarebbe comunque una soluzione alla gestione di un problema complesso come una pandemia. Un’inchiesta del Corriere ha rimarcato una volta di più come negli ultimi cinque anni la riforma sanitaria voluta dall’ex presidente Roberto Maroni sia stata quantomeno inutile se non dannosa: lo sviluppo della medicina territoriale, secondo i dati riportati dal quotidiano di via Solferino, non è mai avvenuta: Le «Prime indicazioni per l’avvio del percorso di riordino di riclassificazione dei Presst, dei Pot e delle degenze di comunità» risalgono al 31 luglio 2019, a distanza di quattro anni dalla riforma della Sanità. Cioè si è iniziato a discutere di presidi sanitari territoriali un anno fa.

E il risultato è stato l’incartamento totale del sistema di fronte all’onda del Coronavirus e la necessità delle chiusure totali del 2020. Un muro contro cui era possibile prevedere di andare a sbattere: pochi mesi prima del Covid-19 in Lombardia si erano manifestate violente ondate di polmonite da legionella che avevano messo a dura prova il sistema nella provincia d Brescia. Forse dopo decine di migliaia di morti la prossima riforma sanitaria lombarda troverà soluzioni adeguate alle evidenti carenze del sistema.

La palla però è in mano alla politica. In queste ultime settimane a Milano si stanno avviando vari progetti e potenziamenti della medicina di territorio, ma l’Amministrazione Fontana ha avuto mesi di calma relativa per organizzarle. Invece, proprio come in primavera, si rincorrono i problemi e nel frattempo crescono le polemiche politiche: Regione Lombardia da settimane spinge per riaprire almeno in parte le attività, nel frattempo polemizza con il Comune di Milano e il governo nazionale. E Palazzo Marino contesta Regione, rimbalzando l’accusa di non occuparsi di amministrare il territorio. E ieri anche Matteo Salvini si è rivisto ai piani alti regionali per un incontro con i vertici lombardi del partito il cui scopo ufficiale era di capire a che punto è la distribuzione dei vaccini antinfluenzali.

Ma mentre gli alti gradi della politica lombarda discutono e si lanciano accuse reciproche di non occuparsi di amministrare quanto di competenza, sul territorio continuano i problemi organizzativi. Un tema sollevato da Stefano Indovino, consigliere municipale del Partito democratico in quarantena perché contagiato, è quello dei drive-through: i presidi per i tamponi rapidi vengono aperti, ma sotto utilizzati per carenza di prenotazioni. “Una disorganizzazione completa di cui è colpevole ATS e dei personaggi che governano la Regione – ha contestato Indovino – Io non sono solito fare queste polemiche, ma pensare che sono stati spesi soldi pubblici per attivare postazioni che non vengono utilizzate in una situazione come questa fa ribollire il sangue”.

L’Ats della Città Metropolitana ha risposto che le richieste sono scese per una “forte riduzione delle segnalazioni dai medici di famiglia”, come dal calo della necessità di screening per il personale scolastico e gli studenti vista l’assenza di “attività scolastica residenziale”. Quindi, se i numeri lo permetteranno, presto anche i contatti stretti dei contagiati potranno richiedere la prenotazione dei tamponi nei drive through attraverso i canali ufficiali. Perché al momento come si è abbandonato il tracciamento dei contagi visto che era sfuggito di mano quasi subito all’inizio della seconda ondata, le prenotazioni sono riservate a una platea ristretta.


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