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“Sembra di stare su una nave in tempesta con una ripetitività monocorde nella gestione politica del problema, come ascoltare le variazioni di Goldberg un’ora al giorno per quindici giorni”.

Ha ragione Francesco Micheli, finanziere, membro del cda della Scala, una delle anime di Milano: la città si sta avvicinando allo scenario peggiore e non cambia nulla. I parametri medici che fotografano la pandemia si stanno impennando. L’Ats Milano stima che in questa settimana si arriverà a un totale di 20 mila casi. In totale i ricoverati nel capoluogo lombardo sono saliti a 2.300, di cui 350 in ventilazione assistita e 180 in terapia intensiva (in Lombardia sono in tutto 370 e stanno aumentando al ritmo di una ventina al giorno).

Sono 9000 i nuovi contagi in Lombardia, e la proiezione su 7 giorni di casi ne stima 20mila in questa settimana. La sera, Milano è tornata spettrale, il silenzio delle piazze è interrotto, nel coprifuoco, solo dalle sirene delle gazzelle della polizia di picchetto; c’è qualche passante isolato e distratto che pare uscito da una canzone di Domenico Modugno; e le lacrime della Madunina che tutto osserva da lassù spesso si mescolano con le pioggierella lieve e fitta. Sanitariamente la situazione continua ad evolvere, non in meglio. Ma se il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro invita a -di fatto- lockdown mirati, il sindaco Beppe Sala e il governatore Attilio Fontana sono sulla stessa linea. Non vuole “essere il paladino del non si chiude.

Ma non va bene andare da cento a zero, ed è quello che si sta facendo oggi” Sala, e afferma che “se si vuole il lockdown , io da sindaco, voglio vedere i dati, ed essere coinvolto personalmente, e non vedere le ipotesi sui giornali”. E Fontana conferma che farà il punto coi sindaci dei capoluoghi di provincia, e frena pure lui: “è necessario ancora attendere qualche giorno per capire se le restrizioni previste dal Dpcm sommate a quelle che riguardano specificatamente la Lombardia, si sono rivelate utili per il contenimento del virus”. Sicché la strategia delle Lombardia unita resta la stessa. Condividere con Anci e sindaci le decisioni da prendere (per distribuire equamente le responsabilità e non rischiare inutili attacchi politici, come già accadde).

Eppoi ecco le tre ipotesi di lavoro: si va avanti così con regole e paletti introdotte dall’ultimo Dpcm e dall’ordinanza regionale; o si decide per il lockdown preparandosi alla furia degli esercenti, delle fabbriche e dell’intera filiera del sistema produttivo. Oppure si preferisce ripassare la palla a Conte che ha già i suoi problemi compreso un calo di popolarità di 7 punti dovuto all’incertezza e al fatto che gli italiani (e, nello specifico, figuriamoci i lombardi) non hanno più intenzione di firmare ai politici cambiali in bianco. Intanto il Covid produce diverse accelerazioni, alcune assai opportune.

Come le 153 lauree per infermieri anticipate, in modo da buttare subito in trincea professionisti appena sfornati. O come l’ammorbidimento di certi protocolli per la prescrizione di farmaci che possono aiutare contro il virus, prima imprescrivibili dai medici di base. Oppure come la predisposizione dei alcuni imprenditori privati sanitari e di strutture per solventi che dichiarano di dare una mano alla sanità di quartiere allo scopo di agevolare i test rapidi, potenziare le cure a casa e creare a usare, magari, strutture parallele di volontari anti-Covid.

I trasporti pubblici sono sotto accusa (sono scomparsi i distanziamenti tra i sedili nelle metro e nei bus, così senza un perché); i medici non si trovano; ma si reperiscono neppure più i normali vaccini antinfluenzali dato che alcune strutture hanno dovuto affittare delle ambulanze per prelevarli nelle farmacie svizzere. Poi, nella “città che non si ferma” si arriva addirittura agli eccessi: i titolari di alcune note agenzie di comunicazione che lavorano con banche, politica e finanza, pur ammalatisi di Covid, hanno continuato ad andare in ufficio infettando anche i propri dipendenti.


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