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La corsia di un ospedale

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Il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, chiede che il Recovery fund venga utilizzato per realizzare una buona volta i Livelli essenziali delle prestazioni, ma è ormai ufficiale – soprattutto dopo l’intervento del Commissario all’economia Paolo Gentiloni – che i tempi non saranno brevi e che una prima parte dei soldi (il 10%) arriverà solo alla fine del prossimo anno.

E così, insieme alle preoccupazioni di fine estate e inizio anno scolastico – nuovi focolai e abbassamento dell’età media dei contagi, test, mascherine, banchi e trasporti – resta in primo piano il vecchio problema della diseguaglianza Nord/Sud. Su tutti i fronti, compresi quelli di istruzione, sanità e mobilità, che mai come ora dovrebbero funzionare e funzionare insieme.

Niente di nuovo, dicevamo. Visto che, nel “Rapporto Italia 2020” dell’Eurispes si legge che proprio “l’attuale Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie il 4 novembre 2014 (allora Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati), intervistato da Giovanni Minoli a Mix 24 su Radio 24 – parlando dell’uso dei Fondi di Coesione Ue (destinati per l’85% al Sud, al fine di ridurre le differenze di velocità fra le diverse parti del Paese, ma utilizzati invece per il 73% al Centro-Nord) – denunciava: «Se si assume un operaio a Milano, lo si fa con i soldi della Calabria e della Campania».

Un paio di settimane dopo la pubblicazione del Rapporto 2020, in Italia sarebbe scoppiata l’emergenza Covid-19. Ma intanto, riguardo il Sud – e alla spesa pubblica – l’Eurispes titolava: “Il Mezzogiorno al di là delle fake news”. Fak news, testuale. Perché, nella sua analisi annuale, l’Istituto di ricerca parte dalla spesa pubblica complessiva per chiarire che “la realtà dei fatti si presenta ben diversa rispetto a quanto diffuso nell’immaginario collettivo che vorrebbe un Sud “inondato” di una quantità immane di risorse finanziarie pubbliche, sottratte per contro al Centro-Nord”. “(…)

Specialmente se si tiene conto del fatto che i fondi che lo Stato indirizza al Sud per garantire ogni genere di servizi (dalla scuola alle ferrovie, dalla sanità all’assistenza alle famiglie, ecc.), che versa per le infrastrutture (senza le quali, come è noto, l’imprenditoria non sopravvive), per promuovere la produzione, le industrie, il commercio e quindi aumentare il livello di occupazione, sono in media all’anno (al netto delle partite finanziarie) di oltre 3.482 euro pro capite in meno rispetto a quelli versati al Centro-Nord”. Con il paradosso oltretutto di una spesa destinata al Meridione nettamente e sistematicamente inferiore di quella del Nord, ma con una pressione fiscale maggiore al Sud rispetto al pil prodotto.

Nessuno, proprio riguardo il pil, avrebbe potuto prevedere la crisi globale e inedita che a causa del virus sarebbe seguita di lì a poco. Sta di fatto che l’emergenza nuova delle vittime e del lockdown si sarebbe sommata alla vecchia emergenza Nord/Sud, quella degli ospedali e delle scuole sparse nel Mezzogiorno in numero insufficiente, in condizioni di abbandono e difficilmente raggiungibili in tempo utile. Se si considera che, dopo la previdenza, è la sanità il settore che da sempre assorbe la maggior parte delle risorse pubbliche, la differenza negli ultimi vent’anni di spesa complessiva sanitaria per il Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno – fino a 500 euro pro capite secondo il sistema Conti Pubblici Territoriali – sa ora di resa dei conti.

Secondo l’Eurispes, Lombardia, Valle D’Aosta e Province autonome di Trento e Bolzano possano contare su un sistema sanitario d’eccellenza, in grado di offrire un ottimo servizio a prezzi molto contenuti, mentre nelle regioni del Sud minori finanziamenti da parte del bilancio statale corrispondono ad una spesa (sia pubblica che privata) molto più pesante per i cittadini. Che in cambio, però, hanno un servizio molto più scadente, con strutture e macchinari inferiori sia per numero che per qualità. Con tutto quello che ne deriva in termini di liste d’attesa, rinuncia alle cure, impossibilità a raggiungere in tempi utili presidi sanitari anche di primo soccorso. Chissà se l’emergenza abbia davvero messo in discussione “l’immaginario collettivo” e le “credenze comuni” di cui parla l’Eurispes, che a dispetto dei dati della contabilità dello Stato vogliono un Nord efficiente e virtuoso ed un Sud parassita e incapace.

Contabilità che documenta l’applicazione sistematica ed illegale di una spesa storica (il divieto di “quantificazione basata sul mero calcolo della spesa storica incrementale” è stato introdotto nel nostro ordinamento con decreto legislativo 279 del 1997) che ha continuato a misurare i fabbisogni sulle somme da sempre percepite dai singoli territori – sempre più al Nord e sempre meno al Sud – impedendo di fatto il raggiungimento dei livelli essenziali di prestazioni e costringendo alla mobilità sanitaria quasi un milione di pazienti l’anno, secondo l’Osservatorio GIMBE.

“La bassa spesa pubblica al Sud per la sanità – scrive l’Eurispes – genera situazioni che varcano il limite della sopravvivenza, come quella del Comune di Longobucco, in Calabria, dove non c’è la guardia medica e l’ospedale più vicino è a 40 Km; oppure il verificarsi di troppi casi di morti di donne dovute a parto”, visto che secondo lo studio del 2019 dell’Istituto Superiore di Sanità, la mortalità delle donne per parto è al Sud doppia rispetto alla media nazionale. A fronte del fatto che, come certificato dalla Corte dei Conti nel luglio del 2019, rispetto al settore sanità, nelle Regioni del Mezzogiorno sottoposte a monitoraggio o controllo dei Ministeri della Salute e dell’Economia, tra il 2006 e il 2017, il deficit è diminuito e si è quasi annullato. Al contrario di quello che avviene nelle Regioni del Nord a Statuto speciale, che beneficiano di maggiore autonomia e libertà di spesa: qui il deficit è raddoppiato.


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