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Nonostante il terremoto Covid-19 il percorso di privatizzazione della sanità lombarda pare non arrestarsi: lo conferma la nomina di Marco Trivelli a nuovo direttore generale, del tutto in linea con l’iter in corso da decenni e che ha dimostrato tutto il suo fallimento nella gestione dell’emergenza dell’epidemia; ma il rischio è che già tutto venga dimenticato e che il cammino prosegua, nonostante le evidenze, le morti, le denunce e le proposte di medici e cittadini che vogliono una totale inversione di rotta.

Perché Trivelli è un manager cresciuto insieme all’ex direttore Carlo Lucchina della squadra di Roberto Formigoni, il “Celeste”, che sta scontando una condanna definitiva per corruzione nella vicenda del crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele, ma che va in Tv a spiegare come dovrebbe funzionare la sanità. Il crollo del gigante dai piedi d’argilla è stato spettacolare perché capitato in un momento drammatico; la storia non si fa con i se, ciò non toglie che il dubbio resta: chissà se senza il Corona virus la privatizzazione della sanità sarebbe stata trascinata sul banco degli imputati…perché il cammino è iniziato da tempo sebbene le eclatanti conseguenze siano sotto gli occhi di tutti solo da febbraio.

«Le cause principali, che ci hanno impedito di reggere all’onda d’urto del Corona virus vanno ricercate proprio nell’abbandono dell’assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda – ha più volte sottolineato il medico Vittorio Agnoletto – ci siamo ritrovati senza posti letto in terapia intensiva, ma anche senza dispositivi di protezione negli ambulatori. Con il 10% del personale sanitario infetto, senza alcun supporto ai medici di famiglia. Su 100 ospedali pubblici, il 60-70% ha un pronto soccorso e un reparto per emergenze. Nel privato non si arriva al 30%. In questi anni si è lasciato totalmente alla sanità pubblica l’onere dell’emergenza e al privato il profitto determinato dalla cura dei malati cronici”.

Un processo favorito dalla Regione Lombardia in particolare attuando due strategie: lasciare l’emergenza al pubblico e, di concerto, potenziare il privato nelle prestazioni specialistiche; come? Indebolendo la struttura pubblica, riducendo il personale mortificandolo sempre più sul piano dei salari e dei contratti; bloccando il turnover; tagliando li investimenti per strumentazione e ricerca. Cosicchè l’utenza, di fronte a tempi di attesa medi insostenibili (anche un anno per una visita ematologica o reumatologica) nel pubblico, si è rivolta via via al privato dove l’attesa è inferiore e, se convenzionato, al medesimo costo per le tasche del cittadino; medesimo anche per la Regione, che per una prestazione eseguita con il ticket, rimborsa la stessa cifra alla struttura privata e a quella pubblica. La differenza sta nel numero: è ovvio che riceve meno rimborsi il pubblico (depotenziato) se si ritrova ad eseguire meno prestazioni del privato (favorito dalle scelte politico-gestionali) e con tempi di attesa più lunghi. La differenza sta anche nella tipologia di intervento: la specialistica fa guadagnare di più a chi la effettua, mentre l’emergenza non paga: ecco quindi che al privato è stata riservata la fetta di mercato più redditizia, mentre pubblico tutto l’onere della risposta di base.

E i numeri documentano questa storia: sono particolarmente preziosi in questo tema gli studi di Maria Elisa Sartor del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano, su cui si è basata anche Medicina Democratica per le sue campagne di sensibilizzazione ma anche per i suoi esposti. Sartor elabora dati ufficiali, tratti dalle fonti sanitarie della Regione e da lì ricava osservazioni che oggi pesano come macigni. “Al 29 febbraio 2020 in Lombardia le strutture di ricovero e cura in prima linea nell’emergenza coronavirus sono tutte pubbliche – spiega la professoressa Sartor che ne fornisce anche l’elenco dettagliato.

Prima dell’emergenza lo studio di Sartor documenta che le strutture private gestivano più del 50 per cento dei ricoveri ordinari: dalla metà degli anni Novanta al 2018 i posti-letto pubblici sono stati più che dimezzati e nello stesso arco temporale i posti-letto privati sono considerevolmente aumentati; “nel 2017 solo il valore dei ricoveri nelle cliniche del privato accreditato era arrivato a quasi a un miliardo di euro, 974 milioni, ben il 45,5 per cento a fronte di 1 miliardo e 169 milioni di euro del pubblico, se si considerano i risultati della ricostruzione dei fatti si può affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la privatizzazione del servizio sanitario lombardo verso un maggior peso della componente privata della sanità appare come un fatto del tutto incontrovertibile”.

Con numeri alla mano Sartor crea tabelle e analisi comparative tra pubblico/privato ed evince: “gli erogatori della sanità privata si aggiudicano il 35% dei casi di ricovero del 2017 e i rimborsi dalla Regione corrispondono al 40% del totale in euro speso dalla Regione per questo tipo di servizi. Gli erogatori privati realizzano il 42% delle visite ambulatoriali e degli esami del Ssl, dato che corrisponde al 43% della valorizzazione totale per lo stesso tipo di prestazioni. Il dato evidenzia una gamma di prestazioni erogate dal privato corrispondenti a una remunerazione proporzionalmente singolarmente più elevata di quanto non sia quella totalizzata dai corrispondenti erogatori pubblici. Se si analizza in particolare l’articolazione interna delle prestazioni per specifiche categorie di esami, si scopre che il sorpasso del privato sul pubblico era già avvenuto fin dal 2015 per quanto riguarda la diagnostica strumentale e per immagini. Se consideriamo infatti il valore delle prestazioni erogate ambulatorialmente dal privato sul valore totale delle prestazioni pubbliche e private dello stesso ambito, nell’anno considerato, il privato incideva per il 52 % (Fonte: Opendata Regione Lombardia)”.

Le ricerche di Sartor si possono trovare integralmente e a breve Medicina Democratica offrirà un contributo aggiornato utilissimo per chi come la stessa Sartor si augura, voglia “recuperare la verità sulla sanità lombarda per costruire una maggiore consapevolezza e consentire ai cittadini di esercitare una responsabilità civica”.


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