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Non usciranno dal lockdown né il 27 aprile, né il 4 maggio. I lavoratori di prossimità, una realtà di 6 milioni 145 mila persone, (camerieri, commessi, infermieri, parrucchieri e tanti altri) che rappresentano oltre un quarto degli occupati italiani, il 30% dei quali nel Mezzogiorno, in base alla tabella di marcia di ritorno graduale prevista dal Governo per la Fase2, dovranno attendere forse una o due settimane in più per riprendere l’attività lavorativa. Forse, questo consentirà loro di farsi trovare pronti, rispettare i vincoli stringenti per la sicurezza contro il rischio da contagio da Sars-Cov-2 sul luogo di lavoro,
Previsti dall’Inail in base alla valutazione integrata delle tre variabili di esposizione, prossimità e aggregazione nei vari settori. Riuscire a procurarsi i dispositivi di protezione, riorganizzare i luoghi di lavoro per assicurare il distanziamento e riammettere i lavoratori nell’azienda è una sfida, sul cui impatto, i consulenti del lavoro, da una parte, e molti medici del lavoro, dall’altra, hanno lanciato l’allarme.
A causa di costi elevati e regole ancora poco chiare, il ritorno sarà “traumatico” per un numero considerevole di persone che, svolgendo le proprie mansioni, devono avere un contatto diretto e in alcuni casi, fisico, con il pubblico, come ad esempio, camerieri, ristoratori, parrucchieri ed estetiste.
“La revisione dei modelli organizzativi e dei luoghi di lavoro, la fornituradelle protezioni individuali ai lavoratori e una maggiore attenzione ai locali, sarà particolarmente difficile per le aziende più piccole” – spiega Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Per il recupero dei dispositivi e materiali, la messa a norma dei locali, la sanificazione, le imprese dovranno sostenere costi elevatissimi per riaprire.E in caso di controlli e attrezzature non in regola vanno incontro al rischio chiusura”.Un pericolo da sventare, contro il quale anche i medici competenti, figure cardine per la sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro, si adoperano perché non accada.
Inspiegabilmente, non sono mai stati convocati ai tavoli tecnici. “Ad oggi vi sono tante ragioni per cui non possiamo affiancare i datori di lavoro, per farli trovare pronti e in regola alla riapertura”, scrivono in una lettera aperta undici medici del Lavoro, fra cui Tilde Martino, di Bari e Leonardo Serafino,di Catania. “L’Inail non ha comunicato quali siano i modelli validi per le mascherine che, quando si riesce a reperirle, costano cinque volte il prezzo normale.
Urge calmierare i prezzi”. Poi ci sono i lavoratori con le idoneità scadute, a cui non è stato possibile effettuare la visita periodica tramite strumenti informatici, per evitare un possibile contagio, in assenza di dpi. Infine, ci sono i test sierologici“di accertata validità”, come scrive l’Inail, da prevedere per i lavoratori over 55 o considerati “fragili”,per patologie. “Siamo pronti – dicono i medici- a collaborare con l’SSN, in un’ottica di promozione della salute, ma chiediamo procedure chiare sui test sierologici”.
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