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MILANO – Più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di ripartire immediatamente e affrontare la “fase 2” post emergenza coronavirus. E’ quanto emerge da un nuovo report di EY che ha analizzato il fenomeno incrociando gli indicatori di resilienza dello Smart City Index di EY (fattori sanitari, economici e sociali) con i dati del contagio covid-19.

Sulla base della diffusione del contagio ad oggi, EY ha classificato le città seguendo 4 cluster della ripartenza, facile, lenta, frenata e critica.

Il primo, ripartenza facile (basso contagio/buona resilienza), comprende le città (prevalentemente del Centro e del Sud) dove approfittare della ripartenza è più facile, perché hanno le infrastrutture e le tecnologie già pronte, e possono controllare meglio i pochi contagi sul loro territorio. Tra queste: Cagliari, Bari e Lecce, ma anche alcune città medie del centro-nord, come Siena, Pisa, Pordenone, Udine. In classifica anche Cosenza, Perugia, Potenza, Livorno e Sassari.

Tra le città a ripartenza lenta (basso contagio/scarsa resilienza), prosegue la nota, si trovano città dove la ripartenza potrebbe avvenire assai presto, dato il basso livello di contagio, ma più lentamente, perché le loro infrastrutture di mobilità e comunicazione non sono di livello elevato e non consentono grandi prestazioni. Molte del Sud: Caltanissetta, Caserta, Crotone, ma anche alcune del Centro Italia come Viterbo e L’Aquila. In classifica anche Prato, Roma, Napoli, Catania e Palermo.

Una ripartenza frenata (alto contagio/buona resilienza) riguarderà soprattutto le città del Nord tradizionalmente “smart”, come Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza, ecc., che, pur avendo sistemi di mobilità, reti TLC e reti di sensori molto avanzate, appaiono frenate nella ripartenza da alti livelli di contagio (spesso correlati ad elevati livelli di ospedalizzazione e carenza di medici di base sul territorio). In classifica anche Venezia, Torino, Firenze, Genova, Parma, Bologna, Padova, Pavia e Trento.

Le città a ripartenza critica (alto contagio/scarsa resilienza): sono le città dove la ripartenza appare più critica, perché accanto a situazioni di contagio molto elevate si abbinano livelli di resilienza molto bassi (reti di trasporto pubblico poco capillari e scarsa presenza del car sharing, limitate coperture TLC, pochi sensori sul territorio e mancanza di piattaforme e centrali di controllo dove raccogliere i dati). Sono città come Cremona, Lodi, Lecco, Alessandria, Verbania, raramente ai primi posti nelle classifiche di smart city italiane, dove sembrano mancare le leve delle infrastrutture moderne e delle tecnologie avanzate per potersi risollevare prontamente. In classifica anche Savona, Bolzano, Forlì, Varese, Belluno, Ancona e Como.

«Non è detto che le città più resilienti riescano a trarre più vantaggi dalla ripartenza, perché molte di esse hanno una situazione più complessa da affrontar – dice Marco Mena, Senior Advisor di EY, responsabile dello Smart City Index – tutte le città devono sfruttare gli investimenti fatti nella smart city negli ultimi anni e capitalizzarli verso la ripartenza, facendo sistema tra i soggetti coinvolti. Chi è in una situazione critica di contagio farà molto più fatica a muoversi in quest’ottica, mentre le città che hanno il contagio sotto controllo hanno maggiori probabilità di sfruttare la ripartenza e tornare più velocemente alla situazione che definiremo “new normal”, che sarà comunque molto diversa da quella precedente. Noi stimiamo che più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di cogliere immediatamente questa opportunità, ma farà molta fatica, perché non ha le infrastrutture e le tecnologie adatte ad affrontare la complessità della ripartenza».

Oltre a questi aspetti, ci sono delle scelte più legate alla governance, per indirizzare investimenti e comportamenti. «Le città dovranno quindi definire i piani della ripartenza, che avranno ovviamente una declinazione locale molto spinta – commenta Andrea D’Acunto, mediterranean government and public sector leader di EY – nel fare questo oltre a tenere conto della situazione del contagio e dello stato delle infrastrutture urbane, dovranno lavorare imprescindibilmente su altri fattori, come la comunicazione per influenzare i comportamenti dei cittadini, la rifocalizzazione dei fondi nazionali ed europei sugli investimenti su infrastrutture e servizi e lo snellimento delle decisioni per favorire la collaborazione con i soggetti privati in grado di capitalizzare sulle infrastrutture e sviluppare i servizi (es. sanità e mobilità). Diviene quindi indispensabile la velocità nel mettere a punto le concessioni e lanciare i servizi per adattarsi al cambio di abitudini e creare il “new normal” delle città».


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