Il Pio Albergo Trivulzio
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NEL bilancio della più grande tragedia sanitaria del dopo guerra italiano c’è un mistero al vaglio dei magistrati: 1.310 morti “di raffreddore”, di cui 874 nella sola Lombardia. Pazienti deceduti nelle Residenze sanitarie assistenziali tra il 1° febbraio e il 6 aprile, censiti da un report dell’Istituto superiore della sanità. Le indagini dovranno chiarire alcuni punti oscuri, e uno su tutti: quanti di essi morirono prima del 21 febbraio, giorno del ricovero del “paziente 1” accusando gli stessi sintomi dall’infezione da Covid-19? E perché non si diede subito l’allarme?
Reticenze, inefficienze, ritardi, impreparazione del personale. Rilanciare l’emergenza avrebbe messo in crisi le Rsa e allentato le pressioni della Confindustria locale volte a mantenere i motori accesi e a lasciare aperte le saracinesche delle imprese.
LE INDAGINI AVVIATE DAI PM
La spiegazione delle morti sommerse è forse già nelle carte che la magistratura ha iniziato a raccogliere. Decessi rimasti fuori dai conteggi ufficiali diramati dalla Protezione civile. Pazienti che presentavano sintomi come tosse, febbre, dispnea, in alcuni casi anche polmonite, deceduti senza essere stati sottoposti prima alla prova del tampone. Per le statistiche non li ha uccisi il Coronavirus, ma una “simil-influenza”.
Le Procure di Milano e Bergamo, i centri più colpiti, sono state le prime ad avviare un’inchiesta per stabilire le dimensioni reali di un dramma che ha toccato in particolar modo la Lombardia, ma anche Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, in parte il Centro e in piccolissima percentuale il Mezzogiorno. Se ai pazienti morti di Covid-19 si aggiungono i cosiddetti decessi per “simil-influenza” si arriva a un tasso di mortalità in Lombardia del 6,8%, in Emilia-Romagna del 3,1%, in Toscana del 3% e del 2,5% in Campania. E perché, la stessa simil-influenza, che al Nord ha causato una strage di anziani, al Sud e nell’isole non è mai arrivata? Una vittima in Calabria, 2 in Molise, 4 in Sardegna, 9 in Umbria, 0 in Abruzzo. Numeri nella norma, insomma. In un quadro in cui, su un totale di 3.858 decessi, circa il 37,4% potrebbe riguardare pazienti Covid-19.
Le tabelle del report dell’Iss – pubblicate ieri dal Quotidiano del Sud – fotografano una realtà ben diversa dalla versione ufficiale. Numeri che alimentano domande: il virus nelle Rsa arrivò prima del 21 febbraio? E perché in Lombardia, la regione più colpita dai lutti, nonostante non vi fossero strutture adatte all’isolamento, personale specializzato e dispositivi medici idonei, si diede indicazione di trasferire i pazienti positivi nelle Rsa? Nel 28,4% delle strutture non era prevista neanche la misurazione della temperatura ai pazienti 2 volte al giorno. Tanto per dirne una.
Sullo sfondo restano i misteri di un conteggio rimasto incompleto. Almeno fino a quando alle indiscrezioni non si sono aggiunti i primi numeri raccolti con criterio scientifico dall’Iss: 577 strutture che hanno compilato i questionari, un tasso di risposta del 26,7%. Parziale ma comunque molto attendibile.
«COME È MORTA MIA MADRE?»
«Quello che mi fa più male è non essere riuscita neanche a salutare mia mamma, nemmeno per telefono un’ultima volta e non aver saputo di cosa è morta», si dispera Silvana, 58 anni, milanese. Una dei tanti testimoni di questa immane tragedia. La madre aveva 89 anni, era ricoverata nella residenza per anziani Virgilio Ferrari, è mancata il 15 marzo. «Prima stava fisicamente bene, abbiamo scelto di farla seguire da professionisti perché soffriva di demenza senile». Per farla sentire meno sola i familiari andavano a trovarla tutti i giorni. «La lavavo, la vestivo, la portavo dal parrucchiere, le facevo compagnia, ma a volte la trovavo in condizioni pessime».
L’ultima volta che Silvana ha visto sua madre è stato il 4 marzo scorso, prima che la struttura sigillasse gli ingressi ai parenti. Due giorni dopo si registrò il primo caso di un paziente ospite della Rsa positivo al Covid-19. A tutt’oggi Silvana non sa ancora di cosa sia morta sua madre.
Il dato che emerge con grande evidenza dal documento stilato dall’Istituto di viale Regina Margherita è l’assoluta inadeguatezza di alcune strutture. Alla data del primo febbraio le Rsa che hanno risposto al questionario ospitavano 44.457 residenti, una media di 78 per struttura.
LA DENUNCIA DEI MEDICI DI BASE
I medici di medicina generale denunciano che a Milano non vengono effettuati i tamponi e dunque i contagi potrebbero essere nove volte superiori, scattano le indagini dei Pm sulle presunte manomissioni di cartelle cliniche del Pio Albergo Trivulzio. Non si farebbe riferimento a denunce specifiche. I sindacalisti della Cgil parlano di 17 pazienti accolti nella struttura dopo la delibera regionale dell’ 8 marzo che dava alla Rsa la possibilità di prendere in carico malati di coronavirus. Hanno contagiato gli altri ospiti del Pio Albergo? Lo dovrà stabilire il pool guidato dall’aggiunto Tiziano Siciliano.
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