Piazza Duomo a Milano
4 minuti per la letturaSempre peggio, qui non scriviamo più articoli, ma bollettini di guerra sempre più lividi. E il problema è che, tra il sistema sanitario lombardo che scricchiola e le inopportune liti sui divieti entrati in vigore a singhiozzo, i medici sottoposti a pressioni bestiali non posso nemmeno raccontare più quel che vedono (non hanno tempo, non è il caso). Ed è così che la pressione psicologica da sentore apocalittico inizia a serpeggiare, dilatarsi, correre sul web. «Ragazzi la situazione è questa. Hanno chiuso interi reparti, hanno ridotto i posti letto dei reparti tradizionali, hanno bloccato gli ambulatori per far venire i medici ambulatoriali a fare i medici per i reparti Covid», grida il Whatsapp di un dottore dell’ospedale milanese Niguarda, in queste ore arrivato all’esasperazione. E continua, drammaticamente, il medico: «Non avete idea quanti giovani ci sono, anche ventenni, con delle polmoniti orribili»; «i medici non vengono neanche più messi in quarantena o screenati col tampone»; «Niguarda sta scoppiando, ha 30 intubati covid. Si aspettano 50 polmoniti al giorno. le rianimazioni sono quasi piene, si pensa a un numero di triage: decidere chi intubare e chi lasciar morire».
IL VERO DRAMMA
Eccetera. Perché è questo il nostro vero dramma: seppur in numero ancora contenuto, continuano ad arrivare nei reparti sempre più infettati giovani, tra i 30 e i 50 anni, molti dei quali sportivi e dalla fibra possente come Mattia il famoso «paziente 1». Io stesso, mentre scrivo mi chiedo quali siano le condizioni di un caro amico, un ingegnere 50enne in ottima salute col fisico e l’allenamento del giocatore di basket (qual è), intubato da qualche giorno in terapia intensiva e avvolto nel sonno del coma farmacologico.
Un altro Whatsapp di un’altra dottoressa esasperata certifica i timori di tutti: «Ormai dobbiamo decidere chi far vivere o morire. E si privilegiano i giovani, e chi può farcela…». Ed è la stessa condizione di Christian Salarol, medico anestesista e rianimatore di Bergamo, il quale al Corriere della sera ha dichiarato: «I pazienti gravi li lasciamo andare. È una frase terribile, ma purtroppo è vera. Avviene come in ogni guerra». Il web, per i medici nella prima linea, si sta trasformando in un tazebao della fragilità di un sistema sanitario (che resta comunque, col Vento, il migliore d’Italia ; e, al contempo uno sfogo psicoterapeutico, un modo per impedir loro d’impazzire. La parola ricorrente, in queste ore, è appunto “guerra”. È proprio questa, l’evocazione bellica, l’eco della trincea perenne e affollata, a trasmettere l’impressione che Milano continui a vivere un incubo a progressione illimitata dal quale non riesce ad uscire: è la guerra contro un nemico invisibile. Una guerra continua e logorante almeno quanto quella alla stupidità di alcuni cittadini.
CONTRADDIZIONI
La città infatti, piombata nell’emergenza, persiste nel galleggiare su profonde contraddizioni: da un lato le metropolitane e piazza Duomo vuote, dall’altro i locali della movida dei Navigli pieni di adolescenti che non hanno ancora capito la portata del problema e le gite fuori porta in stile settimana bianca. Da un lato i medici, professionisti formidabili dotati di volontà e abilità potenti; dall’altro i direttori sanitari, i dirigenti degli ospedali che, in questi anni, a furia di tagli e business strategy hanno perso di vista l’elemento più importante: la cura del malato.
Scriveva, qualche tempo fa sul Fatto Quotidiano Vittorio Agnoletto, medico milanese, docente universitario ed ex politico: «La cura delle persone è stata trasformata in un grande business; la presenza delle strutture sanitarie private accreditate e quindi finanziate dalla Regione con soldi pubblici attraverso il sistema dei rimborsi è aumentata in modo vertiginoso soprattutto nei settori più redditizi: le chirurgie, l’alta specialità, le strutture per ricovero degli anziani ecc». E ancora: «Nell’epoca digitale e delle banche dati, è mai possibile che la Lombardia non abbia costruito un osservatorio per identificare i macroscopici conflitti d’interesse presenti nel mondo sanitario? Oggi si scoprono primari che direttamente, o attraverso propri familiari, sarebbero azionisti di aziende che producono strumenti diagnostici e protesi e si scopre che “casualmente” gli ospedali, ove costoro operano, indirizzano le ordinazioni verso queste stesse società».
Agnoletto ha ragione. C’è stato un momento che, mentre i medici si smazzavano per raggiungere l’eccellenza, i loro capi – i dirigenti sanitari di nomina politica – finivano in galera. Ma questa è una vecchia storia di cui s’è occupata, a più riprese, la magistratura. Ora siamo in guerra. E si tratta di combattere possibilmente senza badare alle retrovie. Sperando che la trincea e il nemico non si spostino oltre…
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