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Roberto Calderoli e Sabino Cassese

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Il comitato Cassese va avanti nella strutturazione dei Lep malgrado la sentenza della Consulta che fa a pezzi la legge sull’autonomia


Va avanti come un treno il re dei costituzionalisti, Sabino Cassese, candidato in pectore della Lega, per qualche giorno, perfino alla successione alla Presidenza della Repubblica prima del bis di Mattarella. Va avanti incurante perfino della sentenza della Consulta che ha di fatto smantellato la riforma Calderoli approvata dal Parlameno. Dichiarando illegittimo, tra l’altro, l’articolo della Legge Finanziaria che istituiva l’ineffabile Commissione per la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, il Clep, presieduta proprio da Cassese.

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In sostanza l’organismo che dovrebbe mettere nero su bianco prestazioni e servizi uguali per tutto il territorio nazionale al di là delle materie che saranno devolute alle Regioni in nome e per conto dell’Autonomia Differenziata in salsa leghista. Dopo il primo step chiuso ad ottobre del 2023, il Comitato ha continuato a lavorare, scambiandosi testi e numeri, pareri e indicazioni. Il tutto lontano dai riflettori della cronaca. Così, nelle ultime settimane, i tecnici del Clep hanno elaborato un altro documento conclusivo che entra, questa volta, nella “carne viva” della riforma, fornendo indicazioni operative per fissare i Livelli Essenziali delle Prestazioni. Ovviamente, si tratta di “suggerimenti”, che poi dovrà essere il Parlamento o il governo a trasformare in decreti o dispositivi ad hoc.

CASSESE E I LEP, LE NOVITA’ NEL DOCUMENTO IN APPROVAZIONE

Ma anche così il documento, che il Quotidiano del Sud è riuscito a visionare, contiene indicazioni importanti. E novità di rilievo. A partire dal numero delle materie “Lep” che potrebbero essere devolute alle Regioni. Rispetto alle stime iniziali, siamo arrivati a quota 283. Un numero enorme che, di fatto, rappresentano altrettante funzioni che, dallo Stato centrale, possono passare alle amministrazioni regionali. “L’attività di classificazione – si legge nella bozza riservata del documento conclusivo – ha portato ad individuare 28 ipotesi di Lep a beneficio individuale, 71 ipotesi a beneficio collettivo, 93 ipotesi relative a Regole e vincoli nazionali oltre alle 46 ipotesi attinenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (come quelli della sanità) e alle 45 ipotesi che necessitano di un approfondimento di indagine.

L’elenco è lunghissimo e, di fatto, porta ad un vero e proprio “spacchettamento” delle competenze fra lo Stato centrale e le amministrazioni periferiche. Con due presupposti. Il primo è che l’operazione dovrà avvenire a saldi di bilancio invariati, senza nessun ulteriore esborso da parte dell’erario. Con buona pace del vecchio “fondo perequativo” che avrebbe dovuto almeno riequilibrare la distribuzione delle risorse. Il secondo è che per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, in assenza di costi standard per la valutazione dei servizi erogati, si prenderà come punto di riferimento la metodologia della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard. Metodo che tende a fotografare l’esistente, partendo dalla cosiddetta “spesa storica”. E che considera, nel calcolo, alcune variabili territoriali che di fatto porterebbero a rendere endemico e insuperabile il più lungo e profondo divario di sviluppo di un Paese occidentale.

LE CONTRADDIZIONI PRESENTI NEL DOCUMENTO

A scorrere il corposo documento di oltre 40 pagine, chiuso il 29 novembre scorso e che dovrebbe essere approvato il 18 dicembre, a ridosso delle festività natalizie, nella riunione del Comitato convocata in presenza da Cassese, emergono non poche contraddizioni. Prendiamo ad esempio, una delle materie che dovrebbero essere devolute, quella della valorizzazione dei beni culturali. Un settore importante, strategico per un Paese come il nostro che ha il patrimonio artistico e monumentale più ricco del mondo.

Come si valuta, a questo punto, le risorse da destinare alle Regioni per difendere, tutelare e promuovere i rispettivi “gioielli di famiglia”? Senza scendere nel dettaglio della formula matematica che si legge nel documento, quello che più colpisce sono i parametri che dovrebbero essere utilizzati dal governo o dal Parlamento per decidere i Lep. Ed è proprio qui che i conti non tornano. Infatti, fra le variabili che il Clep prende in considerazione c’è l’indice di lettura dei quotidiani e delle riviste, la percentuale di popolazione che ha letto nell’ultimo anno almeno 4 libri (esclusi i testi scolastici), il grado di affollamento delle biblioteche.

I RISCHI OGGETTIVI PER IL SUD CONTENUTI DEL DOCUMENTO DEL COMITATO CASSESE SUI LEP

Tutte cose dove la posizione del Sud è sicuramente peggiore rispetto a quella del Nord. Con un rischio oggettivo: Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia o Campania, pur avendo un patrimonio artistico enorme, potrebbero ricevere meno risorse rispetto ad altre regioni, come il Veneto o il Friuli, che però presentano numeri migliori sulla lettura o sulle biblioteche. Ma le proposte presentate nel documento conclusivo del Comitato Cassese vanno anche oltre. Uno riguarda il governo del territorio.

Qui, oltre alla popolazione residente, si propone di prendere in considerazione la variabile delle “costruzioni abusive realizzate nell’anno di riferimento per 100 costruzioni autorizzate dai Comuni”, la percentuale di persone che vivono in abitazioni sovraffollate e che presentano almeno uno tra i seguenti tre problemi.

  • A) problemi strutturali dell’abitazione (soffitti, infissi, ecc.).
  • B) non avere bagno/doccia con acqua corrente.
  • C) problemi di luminosità”.

C’è perfino la “percentuale di persone di 14 anni e più che vedono spesso elementi di degrado sociale e ambientale nella zona in cui vivono (vedono spesso almeno un elemento di degrado tra i seguenti: persone che si drogano, persone che spacciano droga, atti di vandalismo contro il bene pubblico, prostitute in cerca di clienti) sul totale delle persone di 14 anni e più”.

Ma gli esempi potrebbero continuare. Il Clep si sofferma, ad esempio, sulle materie della Comunicazione, della sicurezza del lavoro e perfino dell’istruzione. Ignorando, di fatto, le indicazioni della Consulta che di fatto hanno bocciato la distinzione fra materie Lep e non Lep giudicandola arbitraria. Un’affermazione che, di fatto, fa crollare uno degli elementi costitutivi del rapporto del Comitato. Eppure, alla sentenza della suprema corte, il documento dedica appena due righe, nel capitolo introduttivo. “La Corte costituzionale, decidendo sui ricorsi presentati da alcune regioni avverso la legge n. 86, ha dichiarato illegittime alcune sue disposizioni”. Con una piccola nota a margine. Altro che galateo istituzionale.


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