X
<
>

Il senatore della Lega Roberto Calderoli, primo firmatario della legge sull'autonomia differenziata

Share
6 minuti per la lettura

L’autonomia differenziata opera per accentuare le linee di faglia di tutto il Paese: non è sotto attacco solo la ripartizione delle risorse tra regioni settentrionali e meridionali, è in corso un fenomeno di peggioramento di molti indicatori economici soprattutto per le aree interne di Nord e Sud


NELL’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera, il Ministro Roberto Calderoli si è espresso in termini netti sull’autonomia differenziata: “Io temo che, qualunque sia il risultato, la frattura del Paese ce l’avrai. In ogni caso. Ammesso, e niente affatto concesso, che il referendum si celebri e passi l’abrogazione, diventerebbe automaticamente il referendum del Sud contro il Nord. Qualcuno vuole assumersi la responsabilità di spaccare il Paese?”. Ma siamo certi che la linea di frattura che si è determinata in Italia passi esclusivamente attraverso il crinale tra regioni settentrionali e meridionali?

Manlio Rossi Doria coniò nel 1958 l’espressione “polpa e osso” per denunciare la profonda divaricazione che sul piano socioeconomico si andava profilando tra le tante aree interne e le poche pianure. L’Italia delle aree interne, contrapposta ai territori metropolitani, sarà vittima sacrificale della autonomia differenziata. L’ossificazione delle aree interne riceverà una spinta definitiva dalla concentrazione delle poche risorse finanziarie destinabili ai servizi collettivi, sino a desertificare aree vaste del nostro Paese. In queste settimane l’Istat ha tracciato lo scenario che si è determinato nell’ultimo ventennio secondo questo punto di osservazione nella pubblicazione “La demografia delle aree interne; dinamiche recenti e prospettive future”.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, OLTRE 4 MILA COMUNE NELLE AREE INTERNE

Le Aree interne comprendono oltre 4mila Comuni, il 48,5% del totale. Si tratta di territori fragili nei quali i fenomeni demografici, come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono dei territori a causa delle migrazioni, sono molto più accentuati rispetto al resto del Paese. Al 1° gennaio 2024, nelle Aree interne risiedono circa 13 milioni e 300mila individui, circa un quarto della popolazione residente in Italia; nei Centri urbani, invece, la popolazione è pari a 45 milioni e 700mila individui.

Il calo generalizzato che ha interessato la popolazione residente in Italia dal 2014 a oggi (-2,2%), dopo oltre un decennio di crescita (+5,9% dal 1° gennaio 2002 al 1° gennaio 2014), si presenta in maniera differente nei Comuni delle Aree interne rispetto ai Centri urbani, così come diverso era stato l’aumento negli anni precedenti. La perdita di popolazione nelle Aree interne del Mezzogiorno (-6,3%, -483mila individui) è più intensa rispetto a quella nelle Aree interne di Nord e Centro dove la diminuzione è, rispettivamente, del 2,7% e del 4,3% (oltre -100mila individui per entrambe).

Anche per le dinamiche delle aree interne si ripropongono le diseguaglianze che si registrano tra regioni settentrionali e meridionali. Nel Mezzogiorno, tra i Comuni in declino, oltre due terzi sono comuni delle Aree interne, mentre nel Centro-nord i comuni interni rappresentano comunque oltre un terzo. Considerando l’intero periodo 2002-2023 il calo delle nascite è stato del 28,5% nei Centri e del 32,7% nelle Aree interne. La differenza si deve ad aumenti annuali lievemente più intensi nei Centri nel periodo di ripresa delle nascite tra il 2002 e il 2008.

LE DIFFERENZE TRA AREE INTERNE E CENTRI NEL 2008

A partire da tale anno, l’ultimo in cui si sia verificato un aumento del numero dei nati su base nazionale, l’entità del calo non mostra significative differenze tra Aree interne e Centri (-34,0% e -34,3%, rispettivamente) per quanto nel corso del tempo i valori del tasso di natalità delle due aree si siano avvicinati. Negli ultimi 20 anni i Comuni delle Aree interne, che hanno una popolazione più anziana di quella dei Centri, hanno sempre registrato tassi di mortalità più elevati dei Centri. Nel 2023 nelle Aree interne si registra un tasso del 12,1 per mille, contro uno del 10,9 per mille nei Centri.

Un altro importante elemento di fragilità demografica delle Aree interne è costituito dai significativi deflussi di popolazione che si dirigono verso i Centri urbani o verso l’estero. Nel periodo dal 2002 al 2023 i tassi migratori totali delle Aree interne sono stati positivi, seppur contenuti, solo fino al 2011, grazie al contributo della forte pressione dell’immigrazione straniera che ha caratterizzato il primo decennio degli anni Duemila.

In particolare, l’allargamento a Est dell’Unione europea del 2007 ha, di fatto, favorito l’emersione di centinaia di migliaia di cittadini romeni e bulgari presenti sul territorio senza l’obbligo di un permesso di soggiorno che si è tradotta in un aumento delle iscrizioni anagrafiche dall’estero. La robusta spinta migratoria dall’estero registrata fino al 2011 ha controbilanciato i tassi migratori interni sempre negativi. Dal 2012 al 2019, invece, la stabilizzazione dell’immigrazione straniera su consistenze più moderate ha impedito il riequilibrio delle perdite di popolazione dovute alla mobilità in uscita dalle zone interne.

SCARSA ATTRATTIVITÀ PER GLI IMMIGRATI STRANIERI

Le Aree interne, soprattutto nell’ultimo decennio, non sono attrattive per gli immigrati stranieri che scelgono di insediarsi più frequentemente nei grandi centri urbani dotati di servizi e, molto spesso, laddove risiedono altri concittadini appartenenti alle stesse comunità (effetto network). Il ridotto apporto della presenza straniera non permette di compensare adeguatamente i flussi di espatrio e, in combinazione con la bassa natalità, causa il diffuso declino demografico delle Aree interne. Ma l’emorragia riguarda anche le risorse pregiate.

Tra il 2002 e il 2022 si sono complessivamente spostati dalle Aree interne verso i Centri poco meno di 330mila giovani laureati di 25-39 anni, mentre appena 45mila verso l’estero. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le Aree interne 198mila giovani laureati dai Centri urbani e 17mila dall’estero. Ne consegue che la perdita di capitale umano delle Aree interne è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei Centri urbani e di 28mila a favore dei Paesi esteri. Complessivamente lo svantaggio per le Aree interne è pari a 160mila giovani laureati.

IL PESO DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

L’autonomia differenziata opera per accentuare tutte le linee di faglia che si presentano nel nostro Paese. Non è sotto attacco solo la ripartizione tradizionale tra regioni settentrionali e meridionali, anche perché in è corso un fenomeno di meridionalizzazione di molti indicatori che si stanno avvicinando con aree del Centro e del Nord. Tutte le diseguaglianze saranno accentuate dal modello di regionalizzazione dei servizi collettivi. I politici saranno incentivati a concentrare le risorse finanziarie laddove esiste la maggioranza degli elettori, vale a dire quella fascia che deve garantire la loro nomina o la loro conferma.

I Centri urbani saranno ulteriormente favoriti rispetto alle Aree interne. Un modello nazionale di finanziamento dei servizi collettivi è meno condizionabile dalle logiche del consenso politico, e per questo può operare in modo più coerente rispetto ai principi costituzionali della eguaglianza dei cittadini rispetto ai diritti sociali. La frattura tra zone interne e territori metropolitani rappresenta un’altra dimensione del prisma complesso che è diventata la realtà socio economica del nostro Paese. Ad acuire le fratture territoriali è la legge Calderoli, non certo il referendum, che si propone proprio di spazzare via questa autonomia differenziata che accentua i divari territoriali.

La dimensione delle Aree interne sarà impattata in modo ancora più significativo, determinando una marginalizzazione irrecuperabile. Pensiamo ad esempio al tema delle infrastruttura di connessione per la mobilità che già oggi sono un elemento di estrema debolezza per le zone interne: sarà ancora più difficile investire per accorciare le distanze. Il sistema degli incentivi determinato dalla autonomia differenziata è costruito tutto per peggiorare la condizione dei più deboli.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE