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Il cardinale Matteo Maria Zuppi

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Un’adesione al referendum abrogativo dell’autonomia differenziata potrebbe arrivare nelle prossime ore dall’Azione cattolica: una pessima pubblicità per il Governo Meloni

IL CASO “Lady Lep” tiene banco. E non è escluso che nei prossimi giorni il ministro Calderoli venga chiamato a rispondere in Aula del doppio ruolo della professoressa Elena D’Orlando, presidente della Commissione per la determinazione dei fabbisogni standard e al tempo stesso parte in causa nella trattativa governo-Veneto. D’Orlando è una consulente che già in passato ha fatto parte della delegazione della Regione inviata a Palazzo Chigi, una fedelissima arruolata da tempo nella squadra del presidente del Veneto, Luca Zaia. Intanto, ieri, a Trieste si è svolta la 50esima “Settimana sociale dei cattolici italiani”: ha portato il suo saluto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

LE INSIDIE SULLA VIA VERSO IL REFERENDUM SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA POSIZIONE DELL’AZIONE CATTOLICA

È un mondo, quello cattolico, da sempre molto sensibile ai temi della solidarietà. E dunque in netto contrasto con gli egoismi regionali dei territori più ricchi. Un’adesione al referendum abrogativo sulla legge dell’autonomia differenziata potrebbe arrivare nelle prossime ore dall’Azione cattolica. Che vuol dire giovani, parrocchie, parroci e suore in prossimità del Giubileo 2025. Una decisione in linea con la discesa in campo delle Acli, dei vescovi e della Conferenza episcopale italiana. Una cassa di risonanza enorme. Per il governo di Giorgia Meloni, una pessima pubblicità.

Nessuno si fa illusioni. Azione cattolica a parte, la strada del Referendum per abrogare la legge sull’autonomia differenziata, lo Spacca-Italia, è lastricata di molte insidie. Le cinque Regioni amministrate dal centrosinistra sono al lavoro per mettere a punto il testo e renderlo ammissibile dalla Corte costituzionale, nonostante il disegno di legge targato Roberto Calderoli sia un collegato alla legge di Bilancio. Che già di per sé è un ossimoro, trattandosi di una legge che pone come condizione preliminare l’invarianza di bilancio. Il ministro leghista è un navigato stratega di complesse architetture legislative. Ha previsto la mossa e la contromossa. Il suo Porcellum, del resto, vi ricorda qualcosa? Ecco, allora, lo staff dei tecnici regionali, ovvero dei consulenti e dei professori, al lavoro sulla bozza stilata in fretta e furia dalla Regione Emilia-Romagna: l’Assemblea regionale dovrà votare il testo prima che il governatore Stefano Bonaccini consegni le dimissioni e vada a fare l’eurodeputato a Bruxelles. Ci si poteva pensare prima? Certamente. Ma adesso non è il momento delle divisioni e delle polemiche. «Il nostro sforzo sarà quello di allargare al massimo il fronte contrario alla legge Calderoli – sottolinea il dem Alessandro Alfieri, responsabile delle politiche regionali – Sappiamo che non sarà una battaglia facile. Oltre all’iniziativa delle Aule e delle Regioni ci dovrà essere anche la mobilitazione dei territori».

IL MESSAGGIO AL NORD

Tradotto in pratica, vuol dire che si faranno i banchetti e probabilmente si raccoglieranno comunque le firme, anche se, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, per indire referendum basterebbero le richieste di cinque Regioni. Nella fattispecie, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sardegna. Senza impegno civile e presenza sul territorio, sensibilizzare i cittadini su un tema così articolato e scivoloso sarebbe impensabile. «Il nostro – dice ancora Alfieri – è un messaggio trasversale diretto anche ai cittadini del Nord, spiegare che questa legge che crea 20 sistemi diversi non conviene neanche a loro. Non conviene ai cittadini e agli imprenditori, prova ne sia che anche Confindustria è contraria».

Nei prossimi giorni potrebbe esserci un incontro tra i 5 presidenti di Regione favorevoli all’impugnazione. La governatrice della Sardegna, Alessandra Todde, ha ribadito l’intenzione di chiedere l’impugnazione: «Spetta alla Sardegna, essendo una Regione a statuto autonomo e in quanto tale avrebbe maggiori possibilità (di essere considerato ammissibile, ndr). Le Regioni a statuto ordinario vengono trasformate in enti locali che possono negoziare sulla carta le loro prerogative, di fatto la nostra specificità verrebbe annacquata». Ci saranno, insomma, più ricorsi e impugnazioni per superare i dubbi sull’ammissibilità del referendum. E servirà il raggiungimento del quorum, la qual cosa alza notevolmente l’asticella. Ma questo si sa.

LE PERPLESSITÀ SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Le perplessità sollevate dal governatore della Regione Siciliana, Nello Musumeci, vanno nella stessa direzione. Detto in soldoni: se le Regioni a statuto ordinario si trasformano, cosa avranno di tanto “speciale” le altre? Per non parlare di Roma Capitale. Un disegno di legge all’esame del Parlamento prevede per la Città Eterna autonomia legislativa in 19 materie. Una sorta di risarcimento. E la Regione Lazio? Che ne sarà della Pisana? Che confini avranno i poteri del presidente Rocca? Si fermeranno a Bracciano? All’indomani dell’approvazione della legge tanto agognata dal Veneto, pronto a chiedere da subito autonomia nelle 9 materie che non prevedono i Lep, la confusione regna sovrana. Zaia spera che l’accordo con il governo arrivi entro fine anno e spinge per accelerare. E dalla Campania il governatore De Luca invita a non limitarsi a dire “no” all’autonomia ma «fare anche qualche proposta per semplificare l’Italia e prosciugare la burocrazia mentre parliamo stanno accentuando su Roma tutti flussi finanziari, Pnrr, Fondi di coesione, Zes, Fondi di perequazione infrastrutturale».


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