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AUTONOMIA, una bellissima parola che racchiude un concetto di crescita e di sviluppo dei cittadini. Essere autonomi vuol dire essere cresciuti ed essere capaci di prendere decisioni. Ma quando si vogliono differenziare quelle da dare a ciascun soggetto, bisogna trovare delle ragioni valide. Infatti autonomie diverse hanno trovato una loro logica per le Regioni a Statuto Speciale, ognuna delle quali ha avuto una motivazione storica per esserlo, mentre è difficile capire le motivazioni che portano ad una esigenza improcrastinabile di attuazione di quella modifica del titolo V, cavallo di Troia nella Costituzione voluta dal Pd.
La risposta potrebbe essere perché non tutte le Comunità possono essere gestite allo stesso modo. Ce ne sono alcune che hanno raggiunto livelli di crescita sociale tale per cui riescono ad autoamministrasi in modo appropriato, ed altre che hanno bisogno ancora di ulteriori passaggi, prima di potere avere più ampie autonomie. In realtà è vero che le realtà a sviluppo ritardato hanno bisogno di più centralismo, per sopperire alle carenze della propria classe dirigente, e quelle a sviluppo compiuto di più autonomia e, in tale logica, le richieste di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna sarebbero legittime. Ma allora ci devono essere alla base delle motivazioni forti perché la legge sull’autonomia, approvata dal Parlamento, da qualche giorno, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, dopo il via libera dato dal Presidente della Repubblica, provoca delle reazioni così ampie, tanto da dividere e spaccare il Paese e i suoi cittadini.
La presa di distanza da parte di moltissime Istituzioni, che ritengono sia un passaggio sbagliato nel percorso legislativo, deve farci riflettere sulle ragioni importanti che portano molte Regioni, molti Partiti, la Conferenza Episcopale Italiana, Svimez, Banca d’Italia e tante altre Istituzioni, a prendere le distanze e contrastare tale normativa e ci deve far riflettere in modo neutro su quella che viene definita una bandierina che la Lega ha perseguito, voluto e ottenuto.
Due sono i limiti fondamentali di questa legge: uno il primo che devolve alle Regioni alcuni temi che per loro natura devono essere trattati a livello nazionale, come l’energia, le infrastrutture, la scuola, la sanità. In tali materie l’esigenza di una governance centrale è fondamentale, come si è visto peraltro nella pandemia dalla quale siamo da poco usciti. Il secondo è che pensare di dare autonomia alle Regioni senza che vi siano dei livelli uniformi, più che essenziali, di prestazioni assicurati a tutti, obiettivo irraggiungibile per i limiti di bilancio noti, dando dei tempi precisi di attuazione(24 mesi) altrimenti si continua con la spesa storica, che prevede uno scippo di 60 miliardi l’anno da parte del Nord nei confronti del Sud, è una strada pericolosa. Peraltro tutto quanto basato su un concetto errato. Cioè l’esistenza di un residuo fiscale che si produce all’interno di una Regione. Infatti c’è chi sostiene che il Sud sia finanziato dal Nord. In realtà il concetto di residuo fiscale si basa sul passaggio dall’individuo come soggetto, che paga le sue imposte in relazione al reddito prodotto e che ha una tassazione progressiva in qualunque parte del Paese si trovi, per cui a parità di reddito si ha un prelievo analogo, e un diverso principio per cui si passa alla Regione come piccolo Stato del Paese, che quindi raccoglie le imposte dovute dai suoi cittadini e pretende che buona parte di esse siano investite nel proprio territorio.
Quello che deriva dalla differenza tra ciò che nel territorio viene esatto e quello che viene speso viene considerato residuo fiscale e quindi, in un percorso di adeguamento della normativa che prevede che i territori non vengano depauperati dalle risorse che producono, diventa naturale che venga trattenuto. Ma se adottassimo questo principio e lo portassimo alle estreme conseguenze si potrebbero differenziare anche i quartieri cittadini, se non i condomini, per delimitare le realtà in cui si pagano le imposte sui redditi e gli abitanti di esse potrebbero pretendere che rimanessero nei loro territori le imposte raccolte, per avere servizi migliori. E si arriverebbe al paradosso che due cittadini, che abitano in due posti diversi e che sono sottoposti allo stesso regime di tassazione e quindi a parità di reddito pagano le stesse imposte, abbiano, se abitanti in una realtà, dei servizi diversi e migliori da quelli che abitano in altre realtà.
Per cui con questa autonomia si configurerebbero cittadini di serie A e di serie B. Alcuni non sono molto preoccupati perché ritengono che questa legge non avrà mai alcun effetto operativo, considerato che molti dei temi che dovrebbero essere devoluti alle Regioni possono essere trasferiti soltanto se si attuano i cosiddetti Lep (livelli Essenziali di Prestazioni ) e considerato che per attuarli sono necessarie risorse importanti, che alcuni valutano in circa 100 miliardi annui, si ritiene che rimarrà una pia illusione mai attuata, considerato il limite dell’invarianza di spesa. Sfugge a costoro che nel caso in cui i livelli essenziali delle prestazioni non dovessero essere attuati entro i due anni si continuerà con la spesa storica che a questo punto sarà legittimata. E poi vi è il tema delle materie cosiddette non “leppizzate” che potranno essere immediatamente oggetto di accordi con il Governo Nazionale, costituendo un vulnus importante nella necessaria gestione unitaria.
Qualcuno afferma che con l’autonomia differenziata coloro che sapranno gestire avranno possibilità di chiedere ulteriori materie sulle quali avere risorse e possibilità di eccellere. Tale convinzione, che viene propalata come un mantra anche da molti componenti il Governo, in realtà non evidenzia il fatto che partendo con livelli diversi e con risorse differenti è evidente che i risultati non potranno che essere a favore di coloro che hanno avuto situazioni più favorevoli. Più che premio ai più efficienti si assisterà al permanere dei privilegi per coloro che sono stati sempre avvantaggiati. Un merito grande, però, Roberto Calderoli e la sua Autonomia l’hanno avuto: quello di far rendere conto ai cittadini del Sud che da anni sono trattato da colonia, e non è poca cosa.
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