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Il quadro delle materie in gioco con l’Autonomia differenziata

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Le differenze fra il Nord e il Sud non devono far perdere di vista la necessità di politiche di sistema o si rischiano gabbie istituzionali


Vi è un fantasma che si aggira nel Paese. Una contraddizione plastica tra una ricerca di maggiore autonomia e un centralismo proposto per alcune aree. La contraddizione si spiega con il fatto che siamo di fronte a due Paesi, per reddito pro capite, per tasso di occupazione e disoccupazione, per export pro capite, per alta velocità ferroviaria, per diversi diritti di cittadinanza, alla formazione, alla salute, alla mobilità.

Che due realtà così diverse, come il Nord e il Sud del Paese, abbiano bisogno di approcci differenti non dovrebbe stupire. E infatti le strade che si stanno percorrendo soddisfano esigenze diverse: da un lato la ricerca di una maggiore autonomia, dall’altro una imposizione di maggiore centralismo, con la conseguente ribellione dei Governatori più attenti. In entrambi i casi però si stanno consumando degli errori. Le autonomie non possono riguardare alcune funzioni fondamentali per il Paese come la formazione, le utilities, le infrastrutture. Dall’altro non possono mettere in discussione un principio fondante della nostra Costituzione e cioè che la spesa procapite per ogni cittadino del nostro Paese deve essere uguale.

IL PROBLEMA DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Purtroppo nel Progetto di Autonomia di Calderoli sono messi in discussione entrambi i principi. Perché si tratta di una autonomia “prendi il malloppo e scappa”. Nel senso che ogni Regione, compresa l’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini, vorrebbe tenersi un residuo fiscale esistente solo nella loro fantasia. E all’interno della maggioranza le voci di dissenso si sono levate, alcune espresse altre come rumors. In particolare da parte di Forza Italia che teme l’esigenza di uno scalpo per la Lega, che avrebbe voluto prima delle elezioni europee e delle elucubrazioni di Luca Zaia, e una perdita di consenso al Sud del Paese. Per cui si chiede che prima che si passi ad una autonomia spinta si attuino, e non solo si individuino, uguali livelli di prestazioni. Come ha espressamente detto il vicepresidente del Partito, Roberto Occhiuto.
Mentre in Fratelli d’Italia il malumore serpeggia anche se sottotraccia.

IL NODO DEI LEP

I cosiddetti Lep, impossibili da attuare a saldi invariati del bilancio nazionale, viste le dimensioni dell’impegno economico annuale richiesto, valutato da alcuni enti di ricerca, in circa 100 miliardi l’anno, diventano dirimenti rispetto al percorso. In realtà le esigenze legittime di più autonomia sono state modulate malamente da una visione poco inclusiva e meno ancora poco attenta all’interesse nazionale.

Anche per quanto riguarda il centralismo può portare a degli errori. Non può e non deve essere inteso come una espropriazione dei poteri delle istituzioni locali, ma come una esigenza di coordinamento delle azioni di essi, e come sostituzione solo nel caso in cui l’azione locale risulti inadeguata.
Nel rispetto delle attribuzioni di risorse perché non può essere un alibi per spostare fondi da un territorio all’altro, usando le dotazioni assegnate come un bancomat per esigenze estemporanee, come alcune, troppe volte, è avvenuto. O per gravare su fondi con destinazioni già individuate per distrarli per altri investimenti, legittimi, ma da garantire con risorse diverse. Come è accaduto per i fondi sottratti a Calabria e Sicilia per destinarli alla costruzione del Ponte sullo Stretto, opera che ha un interesse nazionale se non europeo.

IN CASO DI INCAPACITÀ DI SPESA SÌ AI COMMISSARIAMENTI

D’altra parte che si passi dal disimpegno automatico alla sostituzione dei poteri é assolutamente opportuno. Non si può adottare il principio di Giuseppe Sala o di Luca Zaia che, laddove il Sud non riesca a spendere le risorse assegnate dal PNRR, queste vengano spostate verso il Nord, visto che loro sono sedicenti bravi a spendere.
Quindi una sostituzione virtuosa, anche con forme di commissariamento, sempre traumatiche, ma opportune quando vi è l’inazione o l’incapacità dei Centri naturalmente individuati per la spesa. Ovviamente evitando il rischio, sempre presente, come è accaduto con la sanità calabra, che la soluzione sia peggiore del male.

Quindi due esigenze diverse e contrapposte. Anche perché la presenza al Sud, alcune volte, di una classe dominante estrattiva pronta ad utilizzare poteri e risorse per raggiungere obiettivi riguardanti i propri clientes, invece che quelli che perseguono il bene comune, può portare a esigenze di centralizzazione delle prerogative, per evitare di perdere o distrarre risorse importanti.
Avendo chiaro che ogni centralizzazione presuppone forme di commissariamento da evitare laddove non risultino indispensabili, come avviene per lo scioglimento per mafia dei Comuni.
Ovviamente quando i Paesi si riuniranno anche economicamente e nella fruizione dei diritti di cittadinanza, processo che dovrebbe portare anche ad una maggiore consapevolezza dell’elettorato attivo, tale diverso approccio alle due parti non sarà più necessario.

POLITICHE DI SUPPORTO DIVERSE MA NO A GABBIE ISTITUZIONALI

In tale logica anche la gestione dei grandi eventi, come per esempio quello della candidatura di una città a capitale della cultura va indirizzato, monitorato e aiutato da risorse professionali nazionali, che magari per le città del Nord possono essere meno importanti. Non bisogna scandalizzarsi per approcci differenti a realtà con livelli di sviluppo economico ed alcune volte sociale diversi.

La consapevolezza che le realtà Nord/Sud siano in uno stadio diverso non significa proporre “gabbie istituzionali”, assolutamente improponibili. Ma individuare processi di adattamento progressivi a situazioni obiettivamente diverse, in un approccio dinamico complesso ma indispensabile.
L’importante è che intanto lo Stato faccia la sua parte nelle funzioni e nelle missioni che lo riguardano. Cosa che non sempre è accaduta considerato che con decisioni centrali inopportune il Sud è stato penalizzato quando si è deciso di lasciarlo isolato senza Autostrada del Sole che si fermava a Napoli o Alta Velocità Ferroviaria che si fermava a Salerno. O puntando ai grandi porti di Genova e Trieste lasciando quelli meridionali, compreso Gioia Tauro, marginali e periferici, malgrado la loro centralità geografica. Approccio sistemico quindi, articolato e pragmatico quello che serve.


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