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Il senatore della Lega Roberto Calderoli

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CARE Regioni del Nord, ma siete proprio sicure che l’autonomia differenziata, così come prevista nel Ddl Calderoli, sia proprio un affare per le vostre finanze? E, soprattutto, avete fatto per bene i calcoli prima di imbarcare il Paese in un percorso, quello del federalismo fiscale, pieno di insidie e di ostacoli?

Sgombriamo subito il campo da ogni possibile equivoco: non sono domande retoriche. Perché i calcoli messi nero su bianco da tre esperti della materia come Massimo Bordignon, Leonzio Rizzo e Gilberto Turati, aprono scenari molto diversi rispetto ai tanti luoghi comuni che girano attorno al tema dell’autonomia differenziata, in particolare, quelli relativi ad un Sud che, dalla riforma, ha tutto da perdere e niente da guadagnare a differenza del Nord.

Le ragioni per cui l’autonomia differenziata rischia di spaccare il Paese sono altre e, per evitare polemiche o strumentalizzazioni, i tre economisti in una nota pubblicata su La Voce.info, hanno chiarito almeno un concetto: l’idea di garantire il finanziamento dei servizi “pubblici” che saranno devoluti alle regioni con le tasse raccolte sul territorio non conviene proprio alle tre regioni del Nord, Emilia, Lombardia e Veneto, che più di altre si sono schierate a favore dell’autonomia. I tre studiosi sono infatti partiti dai dati ufficiali, quelli contenuti nell’ultimo rapporto del Rapporto sulla finanza pubblica italiana, relativo al periodo 2022-2023. Una lettura che sarebbe molto consigliata ai governatori del Nord.

Come si sa, una volta stabilite le materie da devolvere, si pone un problema di finanziamento. La riforma Calderoli di fatto “copia” il sistema attualmente in uso nelle regioni a statuto special: “un sistema di compartecipazioni differenziate a tributi erariali che garantisca la fornitura dei beni e servizi devoluti in ogni regione. Un simile schema, se fisso nel tempo, potrebbe però creare problemi, se la dinamica della crescita dei fabbisogni fosse differente dalla dinamica della crescita del gettito compartecipato. Una regione potrebbe trovarsi con risorse in eccesso a quanto necessario, o viceversa incapace di finanziare i livelli di spesa”. Ipotizzando, ad esempio, che le regioni dovessero finanziare la spesa per istruzione scolastica e mobilità con una quota di gettito riferita al territorio, si creerebbero evidenti disparità fra regioni “ricche” e regioni “povere”.

Prendiamo, ad esempio, l’Irpef: per coprire trasporti e scuole, la Lombardia dovrebbe impegnare il 15,7% delle imposte mentre la Calabria arriverebbe al 61,9%. Uno squilibrio davvero difficile da gestire politicamente. Per aggirare l’ostacolo la Riforma Calderoli prevede, però, aliquota di compartecipazione differenziate sul territorio e fisse per gli anni successivi. In sostanza, le Regioni potranno avere maggiori risorse per finanziare i servizi assegnati, anche migliorandoli rispetto ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (i Lep) che devono essere garantiti in tutto il territorio, solo se il gettito Irpef aumenta in misura maggiore rispetto alla spesa “devoluta”. E qui arriva la sorpresa. Infatti, i tre studiosi hanno confrontato il gettito da compartecipazione nel periodo 2011-2019 con la dinamica delle spese statali da devolvere (per istruzione e mobilità). La conclusione è clamorosa: “Solo poche regioni – Campania, Calabria e Basilicata – sarebbero riuscite a finanziare la loro spesa statale devoluta, registrando inoltre un surplus. Tutte le altre, con la sola compartecipazione, sarebbero finite in deficit, incluse, e va sottolineato, le tre regioni del Nord più attive nelle richieste di devoluzione.

Il risultato, all’apparenza paradossale, deriva dal fatto che la spesa di Campania, Calabria e Basilicata è rimasta praticamente immutata tra il 2011 e il 2019, mentre i loro gettiti da compartecipazione sono invece cresciuti”. Insomma, è evidente che il sistema di compartecipazioni fisse nel tempo ipotizzato da Calderoli non è sostenibile. La crescita della spesa per le Regioni del Centro e del Nord è stata superiore a quella del gettito Irpef. Con il risultato che, probabilmente, se passasse l’Autonomia Differenziata con le attuali regole, potrebbero subire un salasso. O essere costrette ad aumentare le tasse per fare fronte ai servizi assegnati. Un rimedio peggiore del male che si vuole combattere.

Meglio, suggeriscono gli studiosi, procedere sulla linea tracciata dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che prevede uno schema di compartecipazione delle imposte dinamico, che tenga conto sia “del livello dei fabbisogni, che della differente crescita delle basi imponibili sul territorio nazionale”. A meno che non si voglia riprendere lo strumento del Fondo Perequativo, che garantirebbe una distribuzione equa del gettito, indipendentemente dal certificato di residenza dei cittadini. Ma del Fondo, nel Ddl Calderoli, si è persa ogni traccia.


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