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Roberto Calderoli

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IL SERVIZIO Bilancio del Senato boccia il progetto di Autonomia differenziata e lo fa con un lungo e dettagliato post sul profilo ufficiale Linkedin di Palazzo Madama. La notizia trapela: il ministro Calderoli va su tutte le furie. A metà pomeriggio Palazzo Madama prova a metterci una pezza e sulle agenzie di stampa esce una nota di scuse: “Una bozza non ancora verificata è stata erroneamente pubblicata online…”. Ma la frittata ormai è fatta. Il contenzioso istituzionale sul tema che sta più a cuore alla Lega non è più sottotraccia. Il federalismo spacca-Italia è un “caso”. E può spaccare anche il governo. E’ proprio vero: in certi casi la pezza è peggio del buco.

Tra i primi a cliccare “Mi piace” era stato infatti proprio Renato Loiero, consigliere economico della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nonché direttore dell’Area bilancio del Senato. Un like che parla da solo. Poco meno di una firma in calce. Quel post non è solo una voce dal sen fuggita. Segna con l’evidenziatore dubbi, criticità e debolezze di una riforma che trasferendo alle regioni più ricche un consistente numero di funzioni asseconda quel che resta delle smanie secessioniste di bossiana memoria. Un post, quello comparso appunto su Linkedin, la cui ufficialità è fuori discussione.

Dopo aver esaminato in modo dettagliato il disegno di legge A.S. 615, presentato lo scorso 23 marzo dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Calderoli, i tecnici e i consulenti del Senato hanno sollevato tutti i loro dubbi. Domande del tipo: “Sarà possibile realizzarla (l’autonomia differenziata, ndr) senza aggravio per le casse dello Stato e continuando ad assicurare i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni che costituiscono invalicabile di quei diritti civili e sociali previsti dalla Costituzione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in modo da erogare a tutti i cittadini i servizi fondamentali, dalla sanità all’istruzione?”. Che il progetto federalista non sia gradito dalla premier è un fatto acclarato giacché la suggestione sovranista della destra è da sempre agli antipodi del disegno leghista. Non a caso la leader di Fratelli d’Italia sull’argomento ha mostrato sempre una passione fredda. Disponibile a riconoscere piccole dosi di autonomia a condizione che rientrino dentro il più ampio progetto di riforma presidenzialista. Un do ut des, insomma.

Che il Servizio Bilancio del Senato, “dopo aver passato al setaccio il disegno di legge”, prenda una posizione così netta e contraria la dice lunga sui dubbi che covano nel partito della Meloni. E più ancora nell’altro padre fondatore di Fdi, quell’Ignazio Larussa, presidente del Senato che in questo modo si è messo di traverso. “Nel caso del trasferimento alle regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato e delle relative risorse – si legge nel post – ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, col rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate”. E ancora, sotto il logo di Palazzo Madama: “Le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà a finanziare, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive. Il trasferimento delle nuove funzioni amministrative a comuni, province e città metropolitane da parte delle regioni differenziate – continua – potrebbe far venir meno il conseguimento di economie di scala, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione”.

Si può essere più netti di così? Sono le critiche che da tempo il fronte contrario sostiene da tempo. Un fronte al quale di recente si è iscritta anche Elly Schlein, la neo-segretaria del partito democratico, che da vice presidente della Regione Emilia-Romagna votò insieme al suo governatore Stefano Bonaccini a favore di questa forma di federalismo punitiva soprattutto per le regioni del Sud.

Il post sintetizza le osservazioni contenute nella relazione tecnica del Servizio Bilancio. Dubbi circa l’attribuzione delle risorse umane e finanziarie (art. 5 del disegno di legge) corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento. Uno dei punti più discussi del provvedimento dove si prevede tra l’altro la compartecipazione regionale al gettito di una o più tributi erariali. Un tema tanto più delicato affidato alla Commissione tecnica fabbisogni standard guidata dalla professoressa Elena D’Onofrio. Si dovranno stabilire i criteri di riparto territoriale. Per non parlare dei 62 consulenti della Commissione che dovranno quantificare i livelli essenziali dei diritti civili e sociali regione per regione. La relazione dei tecnici di Palazzo Madama si sofferma su articolari che potrebbero apparire secondari. Ad esempio i compensi della Commissione paritetica Stato-Regione, “andrebbe chiarita – si legge – se per i suoi componenti è esclusa la corresponsione di qualsiasi indennità, diaria o altro emolumento comunque denominato o se per il suo funzionamento si possa far fronte con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente”. Seguono altre osservazioni alle quali il ministro Calderoli finora non ha mai risposto: “Nel caso di un consistente numero di funzioni oggetto di trasferimento potrebbe profilarsi l’eventualità di una incapienza delle compartecipazioni regionali su quelle statali; le regioni più povere, ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale, potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le materie aggiuntive”.

Dubbi e criticità riguardano il peso che un ciclo economico negativo possa avere in un regime di compartecipazione delle risorse influenzato dal gettito dei tributi erariali. Senza andare troppo sul tecnico, gli economisti di Palazzo Madama si chiedono insomma se in caso di condizioni economiche avverse sia lecito aspettarsi una riduzione del gettito o una rideterminazione delle risorse da compartecipazione. Dulcis in fundo la questione della coesione e della solidarietà sociale, punto fermo della nostra Carta costituzionale. “Andrebbe assicurato – si suggerisce nella relazione – che la ricognizione delle risorse da destinare a misure perequative non determini effetti sui saldi di finanza pubblica differenti rispetto a quelli già scontati a legislazione vigente”. Anche questo, ministro Calderoli, una bozza fatta circolare per errore?


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