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L'area del porto di Augusta, in Sicilia

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L’AMMINISTRATORE Delegato di Fiera di Milano S.p.A. Luca Palermo pochi giorni fa ha dichiarato: “Finalmente un’operazione di sistema, mettiamo insieme due fiere (Tutto food a Milano e Cibus a Parma) che prima erano in competizione con l’obiettivo di creare in ambito fieristico un grande campione dell’agroalimentare a livello europeo”. Sempre l’Amministratore Delegato Palermo ha precisato che: “Uno degli obiettivi chiave è la crescita sull’estero e la trasformazione digitale. Vogliamo sviluppare le nostre filiere all’estero, portare in Italia grandi manifestazioni internazionali e creare strutture permanenti in alcuni Paesi per acquisire espositori”. Cioè prende corpo una iniziativa legata a due realtà, quella di Milano e quella di Parma, ubicate in due Regioni diverse e, a mio avviso, una simile esperienza costituisce un precedente di grande rilevanza strategica. Di grande rilevanza strategica perché potrebbe darsi che altre iniziative analoghe, come ad esempio quelle relative al campo della logistica, potrebbero nascere anche presto: mi riferisco, ad esempio, alla possibilità che due sistemi portuali come quello di Genova e La Spezia e quello di Venezia e Trieste, decidessero di diventare una unica realtà imprenditoriale.

Ma molti obietteranno: come potrebbero essere una unica realtà imprenditoriale se non sono neppure singolarmente Società per Azioni? Rispondo subito ad una simile giusta perplessità precisando che se questo Governo vuole davvero evitare che la nostra offerta portuale resti in eterno con i due dati ormai storici: 450 milioni di tonnellate e 10 – 11 milioni di TEU, se vuole cioè perdere per sempre la sua rendita di posizione geografica nel bacino del Mediterraneo, deve non nei prossimi cinque anni ma nel prossimo Documento di Economia e Finanza (praticamente nelle prossime due settimane) anticipare la volontà di trasformare, entro il corrente anno, le attuali Autorità di Sistema Portuale in S.p.A. In tal modo la giusta osservazione sulla impossibilità di dare vita ad un’unica S.p.A. nel caso dei quattro HUB di Genova, La Spezia, Venezia e Trieste verrebbe meno.

Anche in questo caso si tratterebbe di una iniziativa che coinvolgerebbe realtà ubicate in tre distinte Regioni: Liguria, Veneto e Friuli Venezia Giulia. In più occasioni abbiamo anche avuto modo di apprezzare iniziative congiunte anche tra realtà portuali italiane e quelle di altri Paesi, faccio a tale proposito due esempi: – Il porto di Genova e il porto di Rotterdam, in più occasioni, essendo ubicati all’interno di uno dei nove Corridoi delle Reti TEN – T (il cosiddetto Corridoio dei due Mari), hanno manifestato l’interesse alla creazione di sinergie gestionali. – Il porto di Trieste e il Porto di Amburgo hanno, addirittura, già dato vita a forme di interesse gestionale comune. Potrei continuare ad elencare altre forme di aggregazione di interessi comuni prodotte da organismi che o hanno già avviato simile esperienze o sono pronti a renderle operative.

Ho fatto questa lunga premessa per denunciare, ancora una volta, che le idee valide diventano concrete solo al Nord. Infatti la mia prospettazione di un unico soggetto preposto alla gestione di tre porti transhipment del Mezzogiorno come Cagliari, Augusta e Taranto, rimane solo una ipotesi non attuabile perché le Autorità di Sistema Portuale attuali non lo consentono, ma, soprattutto, perché le Regioni (Sardegna, Sicilia e Puglia) anche se i tre HUB diventassero S.p.A. non accetterebbero mai una realtà gestionale così incisiva strategicamente nell’intero bacino del Mediterraneo e non soggetta al controllo istituzionale delle singole realtà regionali. Lo stesso esempio lo avremmo, sempre nel Sud, per iniziative mirate alla costruzione di interessi congiunti nel settore agroalimentare: porto in proposito come riferimenti alcune realtà con elevata produttività agricola come quelle dei Comuni di Vittoria in Sicilia, di Cerignola in Puglia, di Battipaglia in Campania, di Corigliano e Rossano (ormai unico Comune) in Calabria, che potrebbero costruire insieme una Società per Azioni in grado non solo di ottimizzare i processi produttivi ma di gestire i processi logistici e di accesso ai mercati nazionali ed internazionali. Ebbene, queste motivazioni strategiche, questo interesse a superare i miopi confini regionali per entrare davvero nei mercati della concorrenza, purtroppo nel Sud non riesco ad immaginarla e penso sarà sempre più difficile provarci perché siamo in presenza di un ostacolo insormontabile: la maniacale logica del provincialismo più retrogrado.

Forse sarebbe utile che organismi come La Cassa Depositi e Prestiti o la Banca Europea degli Investimenti (BEI) diventassero catalizzatori di iniziative quali quelle che da tempo mi sforzo di prospettare; cioè sarebbe opportuno che organismi esterni alle realtà territoriali del Mezzogiorno si assumessero l’onere di iniettare in tali realtà queste possibili forme di aggregazione soprattutto perché solo in tal modo, forse, verrebbe meno questo approccio di immaginare una iniziativa produttiva, una iniziativa commerciale come un fenomeno isolato e legato solo al territorio di origine.

Lo so non è facile portare avanti una simile ipotesi ma è bene tentare perché altrimenti il Mezzogiorno si riempirà di Zone Economiche Speciali (ZES), cioè si arricchirà di Decreti Legge istitutivi di tali organismi prodotti sette anni fa e rimasti finora atti cartacei, si arricchirà di annunci di iniziative che partiranno, si arricchirà di occasioni possibili ma sistematicamente perse. Questo Governo, lo sto ripetendo ormai sistematicamente, potrà durare per la intera Legislatura e se non cambia, in modo sostanziale, questa ruggine concettuale, questa miopia strategica, rischia di diventare responsabile dell’ennesimo fallimento di ciò che chiamiamo “il rilancio del Mezzogiorno”.


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