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Protervia, arroganza quasi disprezzo. La presentazione della bozza del disegno di legge, contenente le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata da parte del ministro Roberto Calderoli, sa tanto di un’apertura di ostilità e di una forzatura oltre ogni prevedibile immaginazione, sia nei tempi che nei contenuti.

Tutti temevamo che si andasse velocemente verso l’obiettivo, dichiarato e inserito nel programma di governo, ma nessuno pensava che si procedesse a tappe forzate così velocemente.

L’OBIETTIVO: CREARE DUE ITALIE

In realtà questo è il risultato della strada preparata dai ministri per gli Affari regionali precedenti, da Francesco Boccia, del Pd, a Mariastella Gelmini allora ministro di Forza Italia, che condividono la responsabilità della fase a cui siamo arrivati. Come pure non va dimenticata la modifica dell’articolo V della Costituzione voluta dal Pd, per inseguire sul suo campo la Lega, prodromo della situazione di oggi.

Adesso si è alzata ulteriormente l’asticella e sembra che l’obiettivo di Calderoli, su sollecitazione sempre più espressa di Luca Zaia, paladino della statuizione dell’esistenza di un Paese di serie A e uno di serie B, sia di andare oltre ogni limite prevedibile. E così va a farsi benedire ogni logica che avrebbe suggerito che si potesse arrivare a forme di autonomie rafforzate, solo tenendo ferme, se non i livelli uniformi di prestazioni (che da tempo, insieme a Massimo Villone e Adriano Giannola, auspichiamo), perlomeno i livelli essenziali di prestazione, che in questa bozza non diventano più presupposto per l’applicazione dell’autonomia.

Qui si continua a sostenere, con arroganza, e senza alcuna logica, che bisogna continuare con la spesa storica, anche se essa penalizza per circa 60 miliardi l’anno il Sud del Paese.

E che bisogna continuare nel processo di autonomia senza ottenere e perseguire quella perequazione infrastrutturale che sembrerebbe un elemento di giustizia quasi banale, per un Paese, nel quale tutti cittadini hanno gli stessi diritti.

LA REAZIONE DEL SUD

La raccolta, complicata, di 50.000 firme per la proposta di legge presentata da Massimo Villone e dai sindacati confederali della scuola, più Confasal e Gilda, mira a mettere degli opportuni paletti. È certamente un buon inizio della lotta senza quartiere che bisogna fare alla statuizione di un’ingiustizia che viene a essere legittimata come possibile e legale dalla volontà di una forza che aveva come obiettivo quello di secedere dal resto del Paese per correre da sola secondo le proprie affermazioni e che, vista l’impossibilità di raggiungere quell’obiettivo, sta cercando di ottenerne i contenuti, mantenendo il vantaggio di potersi giocare sui tavoli internazionali il grande atout di essere un Paese di 60 milioni di abitanti, anche se in realtà tali vantaggi vengono indirizzati spesso solamente a una parte.

Come si muoveranno i nostri rappresentanti politici territoriali rispetto a una precisa volontà della maggioranza di procedere calpestando qualunque tipo di logica perequativa? Continueranno ad aggregarsi rispetto alle posizioni dei partiti nazionali e quindi a dividersi sulle appartenenze al di là dei contenuti e delle convenienze dai territori o finalmente faranno gruppo impedendo con qualunque mezzo che si attui un primo passo verso una spaccatura del Paese, che prima o poi inevitabilmente porterà a rompere quell’unità formale per la quale i nostri avi hanno combattuto e in molti sono morti? Riusciranno i presidenti delle Regioni meridionali a fare fronte comune, da Mario Occhiuto a Renato Schifani, da Vincenzo De Luca a Michele Emiliano, insieme ai tanti sindaci con a capo Gaetano Manfredi e Antonio De Caro?

E il Pd prenderà finalmente una chiara posizione, anche contro gli interessi che, subdolamente con dichiarazioni equivoche, molti settentrionali a cominciare da Stefano Bonaccini a Piero Fassino a Giuseppe Sala perseguono? E i Cinque Stelle, al di là di una posizione espressa contro, proporranno forme di lotta che facciano capire che si è superato ogni limite tollerabile?

SERVE URGENTEMENTE LA MORAL SUASION DEL QUIRINALE

Mentre sarebbe opportuno che la Presidenza della Repubblica, come è accaduto in tanti casi delicati, utilizzasse la propria moral suasion per impedire che un progetto di secessione, camuffata da efficientismo istituzionale, possa essere completato.

Il passaggio è tra i più complicati che il Paese abbia attraversato negli ultimi anni. La presenza di un presidente del Consiglio, capo di un Partito che crede nella unità nazionale, dovrebbe essere una garanzia di freno all’esaltazione incontrollata di una forza senza alcuna visione e alcun senso dell’interesse nazionale, che pensa di potersi salvare tagliando lo stivale e facendolo affondare in solitudine.

Tranne, poi, recuperarlo quando, con le dichiarazioni del presidente Bonomi, si ritiene che questa parte debba essere la batteria del Paese, oltre che fornire materiale umano, pronto all’emigrazione, per il sistema industriale del Nord. Riusciremo a fermarci o invece metteremo in moto una slavina che potrà trasformarsi in una valanga che potrà travolgere l’unità del Paese?


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