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I governatori della Lega Attilio Fontana e Luca Zaia

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L’autonomia differenziata è uno dei primi provvedimenti che il nuovo governo a guida Giorgia Meloni potrebbe prendere. Verrebbero così accontentate le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e dei loro governatori ai quali il disegno di legge impostato nella scorsa legislatura da Mariastella Gelmini piace molto. E non potrebbe essere diversamente visto che in questo modo sui loro territori resterebbero circa 2,7 miliardi miliardi di euro.

Come dire che con una mano si darebbero con Il Pnrr al Mezzogiorno le risorse per ridurre le disuguaglianze e realizzare le infrastrutture e con l’altra le risorse verrebbero indirizzate in senso contrario. A fare i conti in tasca all’autonomia differenziata tanto invocata da Attilio Fontana, Luca Zaia e Stefano Bonaccini è uno studio realizzato in tempi non sospetti, quando il federalismo differenziato e il decentramento delle funzioni di spesa non era ancora un punto nevralgico del programma del futuro governo. È firmato da due professori di Economia, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi.

Parte dall’intese firmate dalle 3 regioni del Nord il 15 febbraio 2019, previste dall’art.116 terzo comma della Costituzione. Ovvero dalla liste delle funzioni da trasferire: 20 per la Lombardia, 23 per il Veneto e 16 per l’Emilia-Romagna. Quella che ha maggior rilievo è l’istruzione scolastica e universitaria che corrisponde al 13% della spesa regionalizzata dello Stato. Per capire l’ordine delle dimensioni basti dire che per la sola Lombardia stiamo parlando di 5 miliardi e 600 milioni su un totale per le regioni a statuto ordinario di 34 miliardi, il 16% della spesa regionalizzata. Per il Veneto 2 miliardi e 900 milioni, l’85% del totale regionalizzato, per l’Emilia-Romagna 2 miliardi e 800 milioni l’ 8,4%della spesa totale. Non stiamo parlando insomma di bruscolini ma di una montagna di soldi, per l’esattezza un terzo della spesa pubblica destinata all’istruzione, per consentire alle 3 regioni di cui stiamo parlando di assumere in tutto e per tutto il ruolo dello Stato.

Si potrebbe a questo punto obiettare che l’istruzione è materia di competenza statale non solo per una questione puramente economica. Ma il punto non è questo. È un altro. Ma per capirlo bisogna riprendere lo studio dei due professori – pubblicato da lavoce.info qualche tempo fa ma solo ora veramente attuale – risalire al testo delle Intese, all’articolo 5 in cui si definisce il modo in cui devono essere attribuite le risorse. E per l’esattezza il punto in cui si dice che i fabbisogni standard dovranno essere calcolati entro un anno dall’adozione dei decreti che formalizzano il decentramento delle funzioni.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA

E se questo iter non dovesse essere portato a termine? E se, come non è difficile immaginare, la questione dei fabbisogni standard da sempre in alto mare, non venisse definita? “In questo caso – spiega il professor Rizzo, che ha insegnato alla Cattolica e ora è ordinario di Scienza delle Finanze all’Università di Novara e Ferrara – alle regioni sarà riconosciuto un valore almeno pari alla spesa nazionale, la cosiddetta clausola di salvaguardia”.

Nel caso in cui scattasse questa clausola – citiamo lo studio dei due docenti – alla Lombardia andrebbero trasferimenti compensativi per 1.871 milioni di euro; all’Emilia-Romagna per 468 milioni di euro e al Veneto per 367 milioni. Altre regioni a statuto ordinario con spesa-pro capite molto bassa trarrebbero vantaggio. Piemonte (+368 milioni); Puglia (+241 milioni); Toscana (+29 mln) e Marche )+26 mln), Pesantissimo invece il taglio per Lazio (-1.770 mln), Campania (696 mln); Calabria (261 mln); Basilicata (265 mln); Liguria (204 mln); Umbria (108 mln); Molise (85 mln) e Abruzzo (49 mln).

La legge 42/2009 prevede una compartecipazione per finanziare le spese primarie sui territori regionali e tra queste spese rientra appunto l’istruzione. “L’aliquota della compartecipazione Irpef per coprire la spese regionalizzata per tutte le funzioni richieste – continua l’analisi dei due professori – comprensive dei trasferimenti necessari a raggiungere la media nazionale, sempre nel caso in cui non venissero stabiliti i fabbisogni standard, sarebbe del 30% per l’Emilia-Romagna; 28% Lombardia; 34% Veneto mentre arriverebbe a superare il 71% per la Calabria, i 64% per la Campania e il 61% per la Puglia. Un salasso.

Gli effetti della clausola di salvaguardia sarebbero convenienti soprattutto per le 3 regioni che hanno firmato le intese per le autonomie. Le quali avrebbero dunque tutto l’interesse a sabotare il tavolo dei fabbisogni standard. Se a questo aggiungiamo che Il disegno di legge firmato nella passata legislatura da Mariastella Gelmini, quello al quale si ispirano i governatori della Lega, vorrebbe lasciare alle cosiddette regioni “virtuose” l’incremento di gettito che resta nei territori, avremo un quadro più completa di cosa ci attende in materia di federalismo.

La regola aurea dell’autonomia differenziata è che in ogni caso una nuova distribuzione delle risorse non deve gravare sulla finanza pubblica. Facile dunque prevedere trasferimenti da Sud verso Nord. Esattamente il contrario di quello che ci aveva chiesto l’Europa per ridurre divari e disuguaglianze.


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