Mara Carfagna
5 minuti per la letturaÈ PARTITA da una citazione di don Milani, la ministra Mara Carfagna. Da una visione ben precisa, che non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali e ha continuato demolendo i punti cardine del disegno di legge Spacca-Italia, quello che Mariastella Gelmini vorrebbe far approvare a scatola chiusa dal Parlamento entro l’estate. Più che un “blitz” un boomerang rispedito al mittente a stretto giro di posta dalla sua collega di Forza Italia.
Tre le questioni che rendono irricevibile la bozza anticipata e pubblicata integralmente nei giorni scorsi dal Quotidiano del Sud: 1) la definizione dei Lep che però non si potrebbero comunque finanziare in assenza di un fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale; 2) il definitivo superamento della spesa storica “anche in via provvisoria”, ha tenuto a precisare la ministra per il Sud, come riferimento per finanziare i servizi, un criterio che acuirebbe questo divario; 3) le future intese Stato-regioni su settori che incidono sulla vita dei cittadini hanno un rilievo tale che necessitano di un “suggello parlamentare anche in chiave emendativa, un prendere o lasciare non sarebbe un buon viatico né per le regioni né per il governo che dovesse intestarsi gli accordi”. Come dire che il testo che la ministra bresciana ha proposto alle delegazioni dei partiti è da rifare.
Una bocciatura in piena regola. Tanto più coraggiosa perché arrivata nella risposta ad un Question – time dell’opposizione – l’interrogazione presentata da LeU, dai parlamentari Conte, Fassina, De Lorenzo e Timbro – e perché apertamente in contrasto con altri rappresentanti azzurri del suo partito, ad esempio l’ex presidente della Campania, Stefano Caldoro, più aperturista. Al tempo stesso, la Carfagna resta convinta che il Ddl sull’Autonomia differenziata – posto in altri termini – rappresenti “un adempimento doveroso, non più rinviabile”, ma solo “realizzando le misure di contrasto ai divari che la Costituzione e le norme prevedono e che finora sono rimaste lettera morta”.
E c’è anche una stoccata finale alla sua collega, quando la Carfagna dice, riferendosi alla bozza di chiara ispirazione leghista e all’ipotesi di trattenere una parte del gettito Iva, che “si possono differenziare i poteri assegnati alle regioni ma non i diritti dei cittadini in base ai territori in cui risiedono”.
Il destino del disegno di legge che vorrebbe trasformare l’Italia in un “Paese Arlecchino” sembra segnato anche da qui alla fine della legislatura tutto è ancora possibile. La Gelmini non è la prima ministra ad aprire il fronte dell’autonomia. Prima di lei, in stretto ordine cronologico, si mosse, e sempre con scarso successo, il bellunese Gianluca Bressa, all’epoca sottosegretario dem. Quindi, 4 anni fa, toccò alla leghista doc Erika Stefani intraprendere la stessa strada e finire in un vicolo integralista e dunque cieco. Stessa sorte, ma con alterne vicende per Francesco Boccia, ministro pd agli Affari regionali, firmatario di un disegno di legge più condiviso ma destinato a naufragare miseramente come i precedenti. Ed eccoci ai tempi nostri. Alla Gelmini, ex ministro al Dicastero di Viale Trastevere che proprio sull’Istruzione regionalizzata rischia di infrangersi. Non è un mistero infatti che proprio la Scuola sia tra tutte le materie la cui competenza viene chiesta di devolvere sia quella che fa più gola ai governatori del Nord, in primis ad Attilio Fontana (Lombardia), Luca Zaia (Veneto), e, per spirito di emulazione, al dem Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna).
Di federalismo fiscale, autonomia differenziata e perequazione infrastrutturale ha parlato ieri anche Laura Castelli, vice ministra all’Economia M5S. «Devono obbligatoriamente far parte di un unico disegno finalizzato ad assicurare un livello uniforme di servizi alle cittadini e alle imprese, indipendentemente dal livello di governo che li assicura e dal territorio nel quale tali servizi sono svolti», ha sostenuto nel corso dell’audizione nella commissione Finanza territoriale e federalismo fiscale.
Nei giorni scorsi all’interno dello strampalato mondo 5Stelle si è aperto il dibattito. E la Castelli, origini piemontesi, pur essendo stata coinvolta in una prima fase dalla Gelmini, non aveva commentato in alcun modo la bozza della legge quadro predisposta dalla ministra a differenza di altri esponenti del Movimento, come ad esempio il senatore campano Vincenzo Presutto che aveva bocciato senza indugi il disegno di legge ritenendolo “contro la Costituzione”.
«Individuare nuovi ambiti interessati dai Lep al fine di assicurare uguali diritti a tutti i cittadini – è diventato ora per la Castelli una priorità – a prescindere dalla circostanza che siano nati in una regione piuttosto che in un’altra, attraverso un livello uniforme minimo dei servizi». Con sfumature diverse sono scesi in campo in questi giorni professori universitari, ordinari di diritto costituzionale e politici nazionali. Ma anche rappresentanti dei sindacati e dell’imprenditoria. Il disegno di legge sull’Autonomia differenziata, così com’è, non risponde alle linee guida del Piano di ripresa e resilienza – ha ribadito Raffaele Marrone, presidente Confapi Napoli – servono una profonda valutazione di merito e un robusto passaggio in Parlamento per migliorarlo. Il testo attuale sembra non incidere sull’aspetto della coesione sociale e territoriale per cui il Pnrr è stato pensato e sviluppato – aggiunge Marrone. Anzi, da una lettura del documento si ha l’impressione che regionalismo differenziato, disegnato dalla legge quadro, lasci le cose così come stanno, non aiutando nella riduzione del divario tra Nord e Sud del Paese. Obiettivo, invece, strategico per un rilancio dell’economia nazionale oggi aggredita dall’inflazione e dalle prospettive di una mancata crescita dovute anche alla guerra in Ucraina.
Oggi, infine, il costituzionalista Massimo Villone presenterà in Senato una proposta di riforma degli articoli 116 comma 3 e l’art. 117, i passaggi della Carta che aprono la porta alle autonomie regionali. Su un punto però sono tutti d’accordo: non si tratta di fare una battaglia ideologica Nord contro Sud. Sono in gioco i criteri sostenibili e solidaristici fissati dalla Costituzione. E tra questi non rientrano i parametri della spesa storica che hanno contribuito all’arretratezza socio-economica del nostro Mezzogiorno.
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