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Luca Zaia

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Il Partito Democratico del Veneto si schiera contro il progetto di autonomia targato Lega mentre è a favore di una proposta più leggera, fatta di sole sette deleghe. La mossa scatena le reazioni del partito di Luca Zaia: “Una taroccata colossale, come il vino Prosek. Sono la filiale a Nordest di De Luca…”.

A lanciare il sasso nello stagno, praticamente immobile a quattro anni e mezzo dal referendum regionale, è stato il Pd, alla ricerca di un rilancio dopo la batosta elettorale del settembre 2020 e dopo la nomina del nuovo segretario regionale Andrea Manzella. Il Pd ha lanciato proposte e dibattito “per valutare i risultati conseguiti e le ragioni che hanno portato all’ormai evidente stallo negoziale”.

Tutto è fermo da tempo nella trattativa di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con il governo centrale. In particolare, il governatore Zaia chiede 23 deleghe, tutte quelle consentite dalla Costituzione. Ed è proprio questo voler tutto, che non porta a nulla, il tema dell’affondo del Pd. “L’impasse non può essere solo attribuita a responsabilità di altri, ma investe direttamente i contenuti e la natura delle richieste avanzate dal Veneto. È il momento di indicare le correzioni di rotta che possono aiutare a riprendere la strada verso forme di autogoverno utili al tessuto sociale e produttivo del nostro territorio”.

Il Pd attacca la “narrazione domestica concentrata sulla richiesta di 23 materie e sul cosiddetto residuo fiscale generato dal territorio, come se la tassazione anziché sulle persone riguardasse i territori”. Di qui l’invito ad assumere le responsabilità “su funzioni che si ritengono meglio gestibili a livello locale, con in più la realizzazione di significativi risparmi di spesa”. Ecco l’invito affinché il Veneto lavori per ottenere le funzioni e le risorse “su alcune materie chiave, non su tutte”.

Il Pd propone di istituire una commissione speciale del Consiglio regionale a supporto delle iniziative della giunta nella trattativa con lo Stato. Quali materie? Politiche attive del lavoro, integrazione tra politiche attive e politiche passive, organizzazione delle fondazioni ITS (Istituti Tecnici post-diploma), istruzione e formazione professionale, internazionalizzazione delle imprese, governo del territorio in funzione della rigenerazione urbana, prevenzione del rischio sismico.

Secondo il Pd, su questi punti, è possibile chiudere un accordo entro la legislatura, con la approvazione della legge quadro proposta dal ministro Mariastella Gelmini. Presenti all’incontro pubblico, il responsabile regionale sui temi dell’autonomia e del regionalismo Ivo Rossi, il capogruppo regionale Giacomo Possamai, la vice Vanessa Camani e il deputato Roger De Menech. Martella è stato chiaro: “Crediamo a un’autonomia federativa, cooperativa, realmente utile ai cittadini, ma non a una autonomia rivendicativa, tendenzialmente isolazionista”. Sono quindi escluse le materie con più impatto, che coinvolgono i livelli essenziali di prestazione (Lep) come istruzione, trasporti e strade. Rossi è stato lapidario: “Il fondo di solidarietà ipotizzato da Zaia sembra più un obolo, non passerà mai”. Gli altri intervenuti: “L’uomo solo al comando non ha sortito risultati. Dopo l’approvazione della proposta di legge con le 23 materie, il consiglio veneto non è mai stato coinvolto”.

E ancora: “Chiedete a Zaia perché gli unici risultati ci sono stati solo con governi del centrosinistra…”. La replica leghista, piuttosto sprezzante, arriva da Alberto Vilanova, presidente dell’intergruppo Lega – Liga Veneta in Consiglio regionale del Veneto. “La proposta del Pd è come il Prosek croato: una taroccata colossale”. Il riferimento è al vino prodotto in parte dell’Istria che vorrebbe far concorrenza al prosecco italiano, ottenendo il riconoscimento dell’Unione Europea. Continua Villanova: “I Veneti non intendono farsi prendere in giro dalla filiale veneta di De Luca: un’Autonomia senza residuo fiscale è una Ferrari che viaggia in prima. Nel 2017 il Partito Democratico si era balcanizzato sul Referendum dei Veneti, arrivando a presentare un esposto alla Corte dei Conti e invitando i cittadini a non votare. Ora siamo all’assurdo: l’idea del Pd è finalizzata non al bene del nostro Popolo – (con la P maiuscola nel comunicato, ndr) -, ma ad evitare di infastidire i leader democratici romani. Non possiamo e non accetteremo mai un accordo al ribasso, come i Dem di casa nostra vorrebbero. Senza il tema del residuo fiscale o dell’extragettito, si parla del nulla cosmico”.

Conclusione caustica di Villanova: “Il Pd veneto deve decidere da che parte stare: se tutelare i piagnistei di De Luca o prestare attenzione alla volontà del Popolo Veneto (ancora con la maiuscola, ndr)”. Sarà anche una questione di benzina, ma la Ferrari dell’autonomia veneta dei leghisti è un’idea da quattro anni e mezzo ferma in garage. Con il governatore del Veneto che la lucida, la ammira e la rimira, senza mai poterci fare un giro sopra.


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