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Montecitorio

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Esasperato da domande e richieste illogiche, Adriano Galliani una volta sbottò: “I giornalisti sportivi? Veri tipi da spiaggia”. Nella situazione attuale, il riferimento potrebbe essere allargato ai cronisti e ai notisti politici (a partire da chi scrive) e riguardare anche schiere di Grandi Elettori. Un esempio? Prendiamo Mario Draghi. Che fosse un candidato per il Quirinale, addirittura il più autorevole, era palese già da quando Sergio Mattarella nel febbraio 2021 gli affidò l’incarico di fare il governo dopo che quello giallorosso era andato in tilt esattamente come il precedente gialloverde. Difficile immaginare che il capo dello Stato ignorasse che di lì ad un anno il suo mandato sarebbe scaduto e non avesse già in animo di rifiutare ogni tipo di bis.

Bene, arrivati al momento clou del primo scrutinio e di fronte alla confusione crescente, in molti hanno lamentato l’algido distacco di SuperMario, invitandolo a prendere un’iniziativa politica che favorisse lo sblocco della situazione in un modo (lui al Quirinale) o nell’altro (fermo a palazzo Chigi). Per poi sommergerlo di critiche quando ha avviato una serie di contatti con i capi dei partiti.

Bene. Dopodomani o al massimo venerdì dovrebbe essere il giorno dell’elezione del successore di Sergio Mattarella salvo in caso contrario infilarsi in un tunnel di cui nessuno conosce l’uscita. Ma invece di concentrarsi su candidature capaci di calamitare un consenso bipartisan, Matteo Salvini presenta una rosa di nomi (Marcello Pera, Letizia Moratti, Carlo Nordio) nessuno dei quali con le caratteristiche di cui sopra; e il centrosinistra è tentato di rispondere pan per focaccia, cioè anch’esso allestendo una rosa con tre o quattro petali, ma forse anche no oppure sì ma magari più in là. “Comunque sono nomi di qualità”, sentenzia Enrico Letta fiutando un’aria pesante per il Nazareno.

Impervio immaginare che sia questo il “metodo” giusto per arrivare a dama. Anche perché gli stessi proponenti lasciano intendere che le rose potrebbero essere volutamente incomplete e celare altri nomi, quelli sì in corsa sul serio. Uno su tutti: la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, vera carta nascosta di Salvini per la quarta votazione e chissà anche giro finale della pallina di Giuseppe Conte.

Si tratta di una liturgia che minaccia di allungare i tempi e gonfiare di sospetti un Transatlantico già colmo di mefitici retropensieri. Basta vedere cosa è successo sulla candidatura pseudo ufficiale di Franco Frattini, ex ministro degli Esteri del governo Berlusconi e fresco di elezione al Consiglio di Stato. I venti di guerra che arrivano dall’Ucraina sembrano sconosciuti nel catino di Montecitorio. Ma è sufficiente evocare il nome dell’ex ministro per far riemergere sue vere o presunte posizioni filo-russe, che compattano Pd e Iv sulla difesa dell’atlantismo e sul no all’ascesa sul Colle.

Non basta. Il muro della sinistra, in realtà piuttosto friabile, serve anche da monito a Giuseppe Conte, a sua volta sospettato di intendenza neanche tanto sotterranea con il leader della Lega, lo stesso che in Senato l’ex premier bocciò in quanto privo di “senso delle istituzioni”, decretando in tal modo la fine dell’esecutivo gialloverde per dare il via a quello giallorosso, sempre con lui a palazzo Chigi.

Tante mosse e contromosse tuttavia non schiodano da quello che è il vero snodo: la sussistenza della maggioranza di larghe intese che sostiene SuperMario. Se viene salvaguardata, al di là di qualunque funambolismo di questo o quel leader di partito, le strade rimangono ostinatamente solo due: o il trasloco di Draghi al Quirinale oppure la rielezione di Sergio Mattarella.

Poiché però il presidente del Consiglio è intervenuto nell’agone della corsa presidenziale, il suo respingimento non potrebbe non produrre conseguenze pericolosamente negative sul governo: il rischio, o certezza per i pessimisti, è che collassi l’ultra precario equilibrio che ha retto per un anno, e che lo stesso Draghi possa gettare la spugna. A quel punto ci sarebbe un nuovo capo dello Stato (se non ce la fa Casellati è sempre pronta la carta Casini) ma il percorso verso le urne anticipate prenderebbe una curvatura che la farebbe diventare un’autostrada. Il paradosso brillerebbe di luce da Supernova: chi ha finora guardato alle urne anticipate come uno spettro da esorcizzare pensando che l’elezione di Draghi spianasse la strada verso quel tipo di sbocco, ora dovrebbe fare dietrofront e attestarsi sulle chances quirinalizie di SuperMario come argine alle elezioni e conseguente mantenimento del seggio parlamentare.

Troppi contorcimenti. Chi lo frequenta in queste ore avverte soffiare nell’emiciclo della Camera un vento gialloverde già d’antan e ora in via di riproposizione. Se così fosse, la partita del Quirinale si trasformerebbe in un gigantesco gioco dell’oca, dove alla fine del tragitto ci si ritrova al punto di partenza. La legislatura cominciò con l’addio di Salvini al centrodestra per allearsi con il M5S e diventare ministro dell’Interno. Fu il massimo di fulgore per il Capitano che riuscì ad annettersi metà dei voti grillini. Ora ritenta la manovra. Se gli riesce, dal Viminale può agognare palazzo Chigi. In tal caso lo sconfitto sarebbe il Pd: complicato immaginare che al Capitano dispiaccia.


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