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Calma e gesso. Il tempo che i grandi elettori hanno per eleggere il capo dello Stato non è ancora scaduto. Nella storia della Repubblica (a parte il caso di Enrico De Nicola) solo due presidenti sono stati eletti al primo scrutinio: Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi. A loro va aggiunto, per il secondo mandato, Giorgio Napolitano. Peraltro, Cossiga si dimise alcuni mesi prima della scadenza del settennato in forte polemica con i partiti, mentre il presidente più amato dagli italiani, Sandro Pertini, fu eletto al XVI scrutinio.

TANTO CAOS NESSUN PENSIERO

E se andiamo a esaminare la situazione del Paese in altre occasioni, quando l’elezione della più alta carica dello Stato risultò complessa e laboriosa, non troviamo “anni facili’’.

«Ma c’erano i partiti e una rete di protezione di cultura politica – ha ricordato in una recente intervista Rino Formica uno degli ultimi “grandi vecchi’’ sopravvissuti – Le elezioni del 2018 invece hanno visto l’avvento maggioritario di forze non legate alla storia delle forze che costruirono la Repubblica. Questo è il punto. Da qui la confusione. Non c’è più alcun pensiero. Soltanto attori che recitano senza conoscere la trama».

Ecco perché non ha senso che qualche commentatore si lasci sfuggire in tv frasi come questa: «Avete avuto sette anni per pensarci, che cosa state ad aspettare?». Basti prendere nota di quanto è capitato in questo arco temporale per rendersi conto che nessuno sarebbe stato in grado di concordare qualche cosa che andasse oltre le successive 48 ore.

Per di più il Parlamento eletto nel 2018 non ha affidato alla XVIII Legislatura una maggioranza che avesse un minimo di omogeneità, tanto che le diverse forze politiche si sono unite e lasciate dopo qualche giro di valzer, fino a quando – si dirà – non è saltato fuori, per iniziativa di Sergio Mattarella, un governo di larghe intese tenuto insieme da Mario Draghi.

Ma come insegna la tragedia greca i deus ex machina sono calati dall’alto non salgono dal basso. E questa volta, nell’operazione Quirinale ci sono troppe quadrature del cerchio da tenere insieme, a partire dalla continuità dell’azione di governo fino alla scadenza naturale della legislatura: il che non è solo un’aspettativa di tanti parlamentari che non troveranno più posto nelle liste elettorali, ma una precisa esigenza di affrontare, con la necessaria stabilità, sia la gestione del Pnrr in mezzo a una riproposizione in forme diverse dell’emergenza sanitaria e in un contesto (l’inflazione, la crisi energetica, delle materie prime e dei servizi) che si intreccia con venti di guerra in scenari delicati per l’approvvigionamento di quelle risorse, la cui mancanza può bloccare la ripresa.

LE GRANDI MANOVRE

Insomma, ciò che è affidato ai grandi elettori (e ai loro capi bastone) è di trasformare in cerchi concentrici figure geometriche che per ora vanno ognuna per conto suo: la maggioranza, il governo, la presidenza della Repubblica.

Se alle forze politiche sono concessi alcuni giorni di votazione senza sottoporle alla gogna mediatica, non è per nulla sicuro che siano in grado di utilizzare proficuamente il tempo disponibile.

Le manovre di Berlusconi, alla fine, sono state un facile alibi sia per il centrodestra che per lo schieramento opposto. Salvini e Meloni potevano giustificare il loro immobilismo nascondendosi dietro il pretesto di non fare uno sgarbo al Cavaliere (anche se non erano per niente convinti che fosse in grado di farcela. La sinistra ha finto di temere la candidatura del “nemico pubblico n°1’’ con la segreta speranza di realizzare la consueta mobilitazione contro il “caimano’’.

Come è avvenuto negli ultimi decenni, solo la minaccia dell’uomo di Arcore è stata in grado di tenere insieme una sinistra che, come ha detto Formica, «ha vissuto sulle cedole dei titoli di democrazia che i loro padri avevano acquistato, ma ormai le cedole sono finite e i titoli sono stati venduti».

I retroscenisti assicurano che sono in corso dei contatti e dei colloqui; che Letta e Salvini stanno cercando di condurre il gioco per trovare un candidato che possa essere espressione della maggioranza, avendo ambedue presente la domanda (retorica perché vi era inclusa anche la risposta) del premier Draghi: «È immaginabile che una maggioranza si spacchi per l’elezione del Presidente della Repubblica e magicamente si ricomponga per sostenere il governo?».

Per ora i segnali non sono buoni. Con tutto il rispetto che merita, la rosa dei nomi proposti dal centro destra (Casellati, Moratti, Pera e Nordio, a cui potrebbe aggiungersi, su insistenza del Cav, anche Antonio Tajani) sembra scelta apposta per sollecitare nello schieramento opposto nomi altrettanto urticanti, a cominciare da Paolo Maddalena, l’ex magistrato votato dai “grillini’’ duri e puri per le sue convinzioni politiche, che sono tali da ridare al M5S la verginità perduta.

Un giorno capiremo perché nessuno, finora, ha voluto intestarsi la proposta che non poteva essere rifiutata: quella di Mario Draghi. Si sussurra che il vero negoziato si svolga sul governo dopo che Draghi si dovesse trasferire al Colle. Si confermerebbe così che la XVIII è una legislatura “invertita’’. A Mattarella è stato imposto Giuseppe Conte. Chi potrebbe essere il presidente del Consiglio “suggerito’’ a Draghi, una volta eletto capo dello Stato?


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Francesco Ridolfi

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