Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti
3 minuti per la letturaNon si sa quanto fosse prevista, forse non lo era per nulla, forse è il frutto generato dall’intervista di Giancarlo Giorgetti rilasciata, per il libro di Bruno Vespa che uscirà quest’oggi a Roma. Ma quelle parole del ministro dello Sviluppo economico restano scolpite e sparigliano i giochi per il Quirinale. Si comincia oggi con la convocazione del Consiglio federale del Carroccio. Qualcosa di inedito farlo a tamburo battente, soprattutto se si pensa ai tempi in cui comandava il Senatur Umberto Bossi. Ma oggi tante barriere sono cadute e tante altre ne cadranno, da qui alla fine del 2021.
Per oggi pomeriggio è annunciato un discorso al popolo leghista di Matteo Salvini che lancerà una grande assemblea programmatica della Lega da svolgersi entro la fine dell’anno a Roma. Saranno coinvolti tutti i rappresentanti del partito, sindaci, governatori, parlamentari, eurodeputati, sottosegretari, membri del governo.
Considerate le modalità con cui è stato convocato l’appuntamento balza evidente che non ci saranno toni morbidi e lo scenario si presenta come un duello finale per la leadership del movimento.
Una partita in cui nessuno si risparmierà, anche se il confronto tra Salvini e Giorgetti non è confermato ma catalizzerà, nel caso avvenisse, l’attenzione per la grande assemblea programmatica. Sono in corso mosse dei cosiddetti “pontieri” che intendono mantenere toni bassi, non andare oltre per non infiammare il popolo leghista. Tra questi, Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli, il quale ieri, a Redipuglia, dov’era presente anche il capo dello Stato, ha gettato acqua sul fuoco: «Aspettiamo i tempi, oggi mi sembra prematuro. Per rispetto del presidente Mattarella e di chi gli succederà, penso che i nomi sia necessario farli al momento opportuno». Quando gli hanno chiesto se vede bene un eventuale Mattarella bis, ha risposto: «Noi intanto vediamo le proposte, dopo di che si decide, perché fare il toto Presidente della Repubblica non mi è mai piaciuto».
Dicono che l’altra sera, come ieri, si sia assistito a scene folgoranti. Il Capitano punta a blindare la propria leadership e linea politica, andando a stanare gli avversari interni e sottraendosi al “picconamento continuo” attribuito al capo delegazione presso il governo. C’è un clima da resa dei conti, anche se il ragionamento più razionale non porta a questa conclusione. Sono chiari a tutti i termini e i limiti di uno scontro dall’esito per nulla scontato. Salvini veleggia tra un umore pieno di rabbia alla volontà positiva. E sa bene di rischiare di rovinare i rapporti con Draghi, stabiliti un mese fa con un chiarimento negli uffici del Senato, con Fedriga nel ruolo di paciere. Ma la tensione è costantemente forte nei partiti maggiori.
Il Pd intende “parlare a gennaio di Quirinale”. Prima bisogna chiudere con la legge di Bilancio ed il Piano di ripartenza e resilienza. Sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini, da posizioni diverse, sono tornati ad evocare lo spettro del voto collegato all’ipotesi di una elezione di Mario Draghi al Quirinale. Questa ipotesi, inutile rimarcarlo spaventa i partiti (tranne Fratelli d’Italia).
Se manovre ci sono ai piani alti della politica italiana, altrettanti se ne fanno in Europa dove Salvini sarebbe al centro di un progetto, insieme al primo ministro ungherese, Viktor Orban e quello polacco, Mateusz Moraviecki: starebbero studiando la formazione di un nuovo gruppo al Parlamento europeo che possa unire la Lega con Fidesz, il partito di Orban fuoriuscito dal Ppe.
Un’inquieta mossa, forse collegabile al nervosismo che circola nei palazzi romani. Non a caso, Giancarlo Giorgetti, nell’intervista a Bruno Vespa ha affrontato l’argomento affermando che il capo leghista deve decidere da che parte stare. E definisce Salvini di aver fatto una svolta europeista incompiuta.
La tensione è massima pure tra i 5stelle che si preparano al rinnovo dei direttivi di Camera e Senato. A Palazzo Madama si sono sfidati l’attuale capogruppo, Ettore Licheri e la senatrice Mariolina Castellone.
Risultato di parità: 36 voti all’uno, 36 voti all’altra «Abbiamo fatto una riunione -ha detto Danilo Toninelli – dove entrambi i candidati si sono presentati con i loro progetti. C’è molta lealtà tra di loro, insieme alla competizione positiva che porta con sé. Siamo per la rotazione, tutti devono crescere e nessuno deve cristallizzarsi».
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