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Fedriga, Zaia e Fontana, la Trimurti del federalismo

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COME quei soldati giapponesi nascosti nella giungla per decenni, c’è ancora qualcuno nella Lega pronto a credere che la guerra non sia finita. Milizie animate da pulsione anarcoide e disgregatrice. L’anima dura e pura del Carroccio che non segue nemmeno più le orme del capitano Matteo Salvini. Uno che da tempo ha deposto le armi del secessione fiscale. Succede cosi che ieri, nel corso dell’audizione in Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome Massimiliano Fedriga, astro nascente della Lega, rispolveri dal passato il vecchio tema caro ai secessionisti d’Antan. Con tutto il vecchio apparato che ne consegue. Riconoscimento dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa; finanza autonoma e superamento delle finanza derivata; congruità delle risorse rispetto alle funzioni attribuite e, soprattutto territorialità, delle risorse e delle compartecipazione ai tributi nazionali. Che tradotto vuol dire: dateci più soldi e ognuno si tenga i soldi che incassa.

Ci risiamo, verrebbe da dire. Se non fosse che la pandemia ha disastrosamente travolto tutti gli argini del regionalismo spinto. Solo un manipolo di federalisti ormai trinariciuti osa risollevare certe ricchieste.

Valga per tutti l’esempio della Sanità, il modo maldestro in cui è stata gestita a piacimento e in ordine sparso dai governatori pur essendo una emergenza nazionale e dunque di competenza statale. Ma c’è chi insiste. E non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E allora eccoli Fedriga, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, acceso sostenitore del Green Pass, spiegare ai membri della Commissione bicamerale che il federalismo fiscale si può fare. Anzi, si deve fare.

IL GRUPPO DI LAVORO AUTONOMISTA

Il governatore friulano era accompagnato dal Davide Caparini, assessore regionale al Bilancio della Lombardia. Un pasdaran dell’autonomia in salsa leghista, laurea in ingegneria meccanica ma innata vocazione agli affari regionali. Come Stefano Bruno Galli, il docente di Dottrine politiche che il presidente Attilio Lombardo ha voluto al Pirellone dedicando alle Autonomia un assessorato. Sia Galli che Caparini hanno a lungo lavorato nri giorni scorsi per mettere a punto un documento che mettesse fine al senso di frustrazione scatenato dalla lettura della relazione stilata dalla Commissione tecnica nominata dalla ministra agli Affari regionali Mariastella Gelmini.

Un documento che, come anticipato da questo giornale, affossava forse in modo definitivo i sogni autonomisti dei governatori del Nord e in particolare di Fontana e Zaia. E mentre Salvini ne prendeva atto, dichiarando non più di tre giorni fa a Pontida che per un po’ sarà meglio archiviare la pratica “e aspettare tempi migliori, magari quando al governo ci sarà il centrodestra”, il governatore lombardo e quello veneto hanno deciso di andare avanti. Zaia ha voluto che agli incontri con la regione-amica partecipasse Maurizio Gasperin, direttore dell’Area programmazione e sviluppo strategico, espertissimo di enti locali.

MEZZA LEGA SI SLEGA

C’è una Lega insomma che ha messo da parte il disegno federalista e un’altra che cocciutamente insiste. Una Lega che si slega liberandosi del suo passato secessionista, e un’altra che vuole piantare una bandierina ben sapendo che i tempi sono cambiati. E’ quella che vuol rivedere e correggere la legge quadro faticosamente scritta dall’ex Francesco Boccia per poi chiedere la fiscalizzazione dei trasferimenti. La rideterminazione dell’aliquota dell’addizionale regionale Irpef nelle regioni a statuto ordinario. Ad esempio, si scrive nel documento presentato in audizione ieri, “un incremento dell’addizionale regionale Irpef per tutte le regioni, con corrispondente riduzione, sempre per tutte le regioni, delle aliquote Irpef erariale”.

Che tradotto vuol dire: regioni più ricche, Stato centrale più povero mantenendo l’invarianza del carico fiscale per i contribuenti. Si sa che lo scontro è soprattutto sull’Istruzione. Le regioni che chiedono più autonomia considerano la scuola il principale obiettivo. Gestione del personale, formazione, uffici scolastici, dirigenti, carriere, stipendi, formazione e reclutamento. E chiedono che il finanziamento della Sanità e del Trasporto pubblico venga rideterminato per le regioni a statuto ordinario in rapporto con le dinamiche Iva e Irpef.

“La necessità di una dinamica naturale del gettito per l’esercizio delle funzioni regionali è implicitamente richiamata dal fatto – si legge nel documento – che l’articolo 119 della Costituzione comma 2 prevede come fonti di finanziamento ordinario delle regioni i tributi, le entrate proprie e le compartecipazioni ai tributi erariali riferibili ai territori regionali. Con il metodo “federalista” nel risorse per il complesso delle regioni nel periodo considerato – 2013-2019 – sarebbero maggiori in valori assoluti di 43,7 miliardi di cui 42,3 per la sanità e 3,4 per il Tpl. In totale il surplus di risorse per le regioni sarebbe di 177,9 , di cui 173,1 per la sanità e 4,8 per il Tpl corrente.

APPUNTAMENTO AL 2026

Dal referendum-farsa sull’autonomia sono passati ormai 4 anni. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNNR) considera l’attuazione del federalismo regionale come un processo da concludere entro il primo quadrimestre del 2026 aggiornando il quadro normativo e definendo i fabbisogno standard e i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Il 26 maggio scorso la ministra Gelmini convocata in audizione ebbe a dire che si trattava di un orizzonte temporale troppo ampio. Un modo per tenere buoni gli alleati del centrodestra Chissà se lo pensa ancora.


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