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Giancarlo Giorgetti

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Tegn dur, mai mula’. Fu uno degli slogan che fecero la fortuna di Umberto Bossi (almeno al Nord). “Tieni duro, non mollare mai”: declinato oggi nel senso di “qualsiasi schiaffone prendi, non uscire mai dal governo”, forse rende in una certa misura il senso del quarto di secolo che intercorre tra la Lega Nord degli albori e quella degli ardori “no-vax” cangianti del Carroccio nazionale. Nel quale la ruota destra non sa quello che fa la sinistra, e viceversa.

Tra le ricostruzioni dell’”incidente” sul voto contrario al green-pass in commissione Salute alla Camera, spicca una considerazione del capo della delegazione leghista al governo, Giancarlo Giorgetti, ormai al limite della sopportazione di fronte alla notizia del voto: “Ma se un mese fa abbiamo votato il decreto!… E che ci sto a fare io qui?”. Non è l’unico a chiederselo, dopo la reprimenda del premier Mario Draghi, che ha rilanciato sull’estensione del green pass e l’obbligatorietà del vaccino.

Toccherebbe infatti ora alla Lega vedere o passare una volta per tutte, e chiarirsi sulle possibilità di un bluff che, come sanno tutti i giocatori di poker, a questo punto del gioco non prevede ulteriori scappatoie: o dentro o fuori. Dentro, dentro, è stata ieri la subitanea risposta del “capo” Salvini, arrampicatosi sugli specchi pur di trovare giustificazioni alla poco sostenibile posizione leghista.

“Noi siamo al governo, e ci rimarremo, per aiutare gli Italiani ad uscire dall’emergenza sociale, sanitaria ed economica, come richiesto dal presidente Mattarella; abbiamo scelto di entrare in questo governo di emergenza per responsabilità e amore per l’Italia e ci rimarremo, Pd e 5Stelle si mettano l’animo in pace, non li lasceremo certo soli a governare per imporre nuove tasse, ius soli, taglio delle pensioni o ddl Zan. E se in Parlamento si troverà una maggioranza per modificare, o addirittura cancellare, il Reddito di Cittadinanza, tutti ne dovranno prendere atto”.

Rimarcando le (ovvie) divergenze di vedute con i compagni di strada, in una parentesi Salvini ha risposto sommessamente anche a Draghi: “L’obbligo vaccinale non esiste in nessun Paese europeo”. Dalla palese difficoltà, si apprende qualche affermazione da tenere in cassetto a futura memoria. Tra le ritorsioni minacciate, una posizione più dura sul ddl Zan e una possibile ricerca di maggioranza per rivedere il Rdc: tutto sommato ce ne si può fare una ragione, considerato che il ddl Zan è ormai ritenuto assurdo anche dalla parte ragionante del Pd e che le modifiche del Rdc sono state già contemplate persino dal leader 5stelle, Giuseppe Conte.

Quel che però il leader leghista non dice, mentre ce ne sarebbe bisogno, è una parola chiara e definitiva sulla linea della Lega, che qualche tempo fa, all’epoca del primo lockdown era tutta volta a salvare l’economia dalle chiusure pandemiche.

Eppure i numeri forniti da Draghi indurrebbero a un confronto con il reale: da un lato un’economia che riparte e dev’essere al più presto consolidata; dall’altro, 78 milioni di dosi somministrate, 70 per cento della popolazione vaccinata, l’80 (Gelmini spera l’85) a fine settembre; il 91,5 per cento degli insegnanti con almeno una dose fatta. Assicura il futuro “federato” leghista, Antonio Tajani, che né la Meloni né tantomeno Salvini sono “pericolosi no-vax”. E Tajani è un uomo d’onore, dunque degno di fede. Il giochino della solitaria oppositrice al governo almeno è chiaro: raccattare forme di dissenso in ogni angolo del territorio nazionale per raggranellare decimali in più nei sondaggi. E pazienza se non è detto che si tramutino in voti. Ma il gioco di Salvini, invece, qual è? Contendere alla Meloni l’effimero primato a un anno dalle Politiche, evitare che si consolidi? E più esattamente, visto che c’è chi ha sostenuto risibilmente che il Leghista fosse a caccia delle manciate di voti che servirebbero per vincere le Comunali, a che percentuali sarebbero stimabili i famigerati “no-vax”, liquefattisi in ogni manifestazione? Salvini (o Borghi che ne è diventato il profeta) è sicuro che basti strizzar loro l’occhietto a giorni alterni, per ricevere consenso elettorale? Di che stiamo parlando? Dello 0,5 per cento? Ma non si trattava poi di ipercomplottisti, hipster, supervegani e quant’altro di assimilabile al “magico” mondo grillino? Volendo riportare l’emotività da “social” a un minimo di logica, si direbbe che a reggere ogni motivazione di questi tempi grami sia in fondo solo la paura: di chi si fa il vaccino e di chi lo rifiuta; paura di morire per una reazione avversa contrapposta alla paura di morire di Covid. Nessun’anima liberale può pertanto arrogarsi il diritto di interpretare quale delle due paure debba prevalere, e nessuno dovrebbe avere il diritto di farci campagna elettorale. Per lo Stato, invece, è diverso. E’ legittimato a organizzarsi come meglio ritiene: sia per fronteggiare un’ondata di contagi negli ospedali, sia per scongiurare una crisi economica che sarebbe peggiore della pandemia. In questa differenza crediamo si celi il nodo scorsoio che Salvini non riesce a sciogliere.

La leadership leghista aveva provato a sostenere che bisognasse rendere i tamponi “rapidi e gratuiti per tutti” per evitare un green pass discriminatorio. Ma la stessa misura era stata presa poco tempo fa dal governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, e subito cancellata per gli eccessivi costi e perché “stava diventando scappatoia per non vaccinarsi”. Ieri Zaia ha cercato di tirarsi fuori da ogni possibile contesa con Salvini sostenendo la flebile teoria che l’obbligatorietà del vaccino costituisca “un po’ una sconfitta”. Ma in tutto il resto delle sue affermazioni si registra il vanto per i risultati raggiunti e persino per l’adozione del green pass.

L’altra campana dissonante dell’oratorio leghista, quella di Giorgetti, se l’è cavata ancor meglio, ricorrendo a un arguto non-sense filosofico: “Draghi dice che nella Lega c’è un capo che è Salvini, quindi quello che dice Salvini a me sta bene”. La frase, del genere “paradosso del mentitore”, suona un po’ come: tutti gli abitanti di Creta sono bugiardi, io sono di Creta. Ma chi invece non lo è preferisce credere al Giorgetti che, sempre ieri, ricordava: “Il nostro mestiere è difendere l’economia nazionale”. Perfetto: ora Salvini spieghi come farlo, così magari anche Giorgetti potrà condividerlo.


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