Una corsia di ospedale
5 minuti per la letturaLa minorità infrastrutturale del Mezzogiorno è un leitmotiv della passione civile che anima questo quotidiano. Un recente studio della Banca d’Italia («I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso», di Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller, nella collana «Questioni di Economia e Finanza») è venuto a confermare, con dovizia di analisi innovative, questa minorità, e più volte è stato presentato su questo giornale (vedi il “Quotidiano del Sud” dell’8, 11, 13, 18 agosto, con le analisi sulle dimensioni dei trasporti, della rete idrica, della rete elettrica, delle reti di telecomunicazioni…).
In quest’ultimo articolo guardiamo, traendo ancora una volta da quello studio meritorio, alla ‘foresta’ delle infrastrutture, e non più ai singoli ‘alberi’. La tabella mostra, per una selva di indicatori e per ogni regione della penisola, oltre alle grandi ripartizioni territoriali (Nord, Centro, Sud e Isole), i valori di ogni indicatore rispetto al valore medio dell’Italia intera.
Per meglio interpretare la tabella, è bene ricordare che non sempre un valore più basso per il Mezzogiorno indica una minorità. Tipico è il caso dell’indicatore relativo alle reti elettriche: per la rete a bassa tensione un valore più alto indica che sono più numerose le interruzioni nella fornitura di corrente, mentre il contrario vale per la rete a media tensione (che interessa le imprese): in quel caso un valore più basso indica che è minore il numero di utenze conforme agli standard di qualità fissati dall’ARERA (Agenzia di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente).
Prima di commentare la tabella è utile ricordare le premesse di questa analisi dei divari infrastrutturali nelle Regioni italiane. Questi sono stati esaminati a partire dai singoli SLL: Sistemi locali del lavoro, una partizione territoriale – in Italia sono più di 600 – basata sul pendolarismo, che a sua volta segnala aree economicamente omogenee al loro interno. E L’esame si è valso dei criteri analitici della ‘Nuova geografia economica’ (NGE): una branca dell’economia, in pratica fondata dal Premio Nobel Paul Krugman, che “si caratterizza per il ricorso a sofisticati modelli analitici basati sulle distanze per spiegare la distribuzione delle attività economiche sul territorio e i processi agglomerativi all’origine dei divari di sviluppo locali”, e quindi considera quale elemento determinante nei processi di espansione economica la centralità di un’area rispetto alle destinazioni economicamente più rilevanti (mercato potenziale).
Per fare un esempio non strettamente economico, fra gli indicatori di qualità delle cure ospedaliere (vedi la terzultima colonna della tabella), l’indice di accessibilità (dopo aver normalizzato i posti letto per la popolazione) consente di cogliere in che tempi il singolo individuo di un dato SLL può raggiungere le strutture di cure ospedaliere.
E veniamo alla tabella. I dati relativi ai trasporti – strade, ferrovie, aeroporti e porti – segnalano nel Mezzogiorno una dotazione inferiore alla media italiana (e ricordiamo che ogni indicatore ha più di una dimensione – per esempio, come già detto nell’articolo dell’11 agosto, non si considerano solo i chilometri di strade, ma anche i tempi di percorrenza). Il solo indicatore per il quale il Mezzogiorno ha un dato superiore alla media italiana è quello relativo ai passeggeri che transitano per i porti, il che è facilmente spiegabile a causa dei collegamenti con le isole.
Seguono le telecomunicazioni, e sono questi i soli indicatori per i quali il Mezzogiorno fa bella figura. Ma anche qui l’apparenza inganna. È vero, l’offerta – cioè la disponibilità della rete – è generosa con il Sud, ma la fruizione dei servizi digitali è molto più elevata al Nord. Come recita la Relazione annuale 2020 dell’Agenzia per le Comunicazioni, “in definitiva, tali evidenze mostrano ancora una volta la necessità di affiancare alle politiche di offerta (grazie alle quali si sono raggiunte importanti coperture della banda larga e ultra-larga nella gran parte delle zone del Paese) interventi dal lato della domanda, ossia che stimolino la diffusione dei servizi presso la popolazione italiana”.
Per quanto riguarda le altre grandi reti, di quella elettrica si è appena parlato, mentre per quella idrica non c’è che da reiterare le disfunzioni, a sfavore del Mezzogiorno, già descritte su queste colonne il 18 agosto.
La dotazione ospedaliera ha tutto il diritto di essere considerata fra le infrastrutture di base. Come recita il contributo di Banca d’Italia, “La letteratura economica ha ampiamente dimostrato che la tutela della salute contribuisce allo sviluppo economico attraverso il suo effetto positivo sull’accumulazione di capitale umano e sulla produttività del lavoro; la crisi innescata dalla pandemia ha ulteriormente messo in luce quanto siano profonde le interconnessioni fra sanità pubblica ed economia. Nel contesto istituzionale italiano la salute è un bene pubblico universale, essendo le prestazioni sanitarie costituzionalmente garantite a tutti i cittadini”.
Ebbene, gli indicatori di posti-letto sono tutti più bassi al Sud, specie per la pneumologia e le malattie infettive, per non particolare dell’indicatore di qualità (di cui sui è dato un esempio più sopra), dove il livello per il Mezzogiorno è poco più della metà di quelli del Centro-Nord. Un residente nel Sud o nelle Isole ha possibilità di accedere a posti letto in strutture ospedaliere inferiori del 40 per cento rispetto a un residente in una regione centrosettentrionale.
Infine, un altro aspetto della salute attiene alla gestione dei rifiuti, dove ancora una volta gli indicatori descrivono un livello tragicamente basso per il Meridione: “Anche l’erogazione dei servizi ambientali soffre di una carenza di infrastrutture particolarmente accentuata nel Sud del paese, che presenta condizioni sfavorevoli di accesso agli impianti di trattamento dei rifiuti in modo particolare per quanto riguarda la gestione della componente differenziata organica. La minore disponibilità di impianti incide sui costi pagati dall’utenza e ostacola una riorganizzazione del servizio basata sull’adozione di tariffe puntuali (che inducono le famiglie a produrre meno rifiuti e a differenziare di più, ma richiedono una dotazione di impianti adeguata)”.
Lo studio di banca d’Italia ha alzato il velo su un campo di indagine che promette altri approfondimenti. Gli stessi autori prevedono ulteriori linee di sviluppo che si allarghino ad altre infrastrutture sociali (asili nido, residenze per anziani, scuole…), che arricchiscano gli indici di accessibilità con altre informazioni qualitative, e che arrivino – qui si potrebbe ricorrere alla metodologia usata nei rapporti Svimez sull’argomento – a individuare metodi per collassare i diversi indicatori in una misura sintetica di tutte le infrastrutture considerate.
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