Luca Zaia
4 minuti per la letturaCon la regia politica del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, e con i lavori della Commissione di studio sul tema del regionalismo differenziato, coordinata dal professore Beniamino Caravita, si prospettano nuovi percorsi e contenuti per l’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del nord e del centro nord. I problemi dominanti determinati dalla pandemia hanno imposto una pausa nella procedura avviata con gli accordi preliminari del 2018 tra il Governo e le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e dalle richieste della Liguria, del Piemonte e della Toscana.
Per altro verso proprio la gestione dell’emergenza sanitaria ha fatto emergere criticità in diversi ambiti dei rapporti tra Stato e Regioni, quali sono regolati dalla riforma costituzionale del 2001. Rivendicazioni regionali, sfociate anche in contenziosi giudiziari, si sono manifestate proprio quando più forte è apparsa la necessità di una direzione unitaria dell’emergenza. Una conflittualità che sembrerebbe sedata dopo che la Corte costituzionale, con una interpretazione ampia e comprensiva della materia “profilassi internazionale”, ha ricondotto alla competenza esclusiva dello Stato i diversi aspetti determinati dall’emergenza sanitaria.
Una situazione che richiede egualmente una direzione unitaria, e il pieno esercizio della leale collaborazione tra le istituzioni, si pone ora per adempiere agli obblighi comunitari assunti con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La necessità di dare ad esso attuazione nei tempi prefissati, pena la perdita dei finanziamenti, suggerirebbe di non rendere concomitanti mutamenti di attribuzioni e competenze tra Stato e Regioni, e di rendere invece effettivo e sollecito l’esercizio dei poteri sostitutivi del Governo, che la costituzione prevede, rispetto agli organi delle Regioni e degli enti locali che ritardino l’attuazione del piano, e di accorciare la “catena di comando” tra l’attribuzione delle risorse e l’esecuzione delle opere.
È una scelta puramente politica se procedere, in questo contesto, con rapidità alla conclusione delle procedure per l’attivazione dell’autonomia differenziata per le Regioni che ne hanno fatto richiesta, oppure utilizzare il tempo e l’esperienza che si va facendo con l’attuazione del PNRR per valutare le nuove esigenze e simulare in una modellistica organizzativa gli effetti di sistema che le progettate innovazione determinerebbero. Difatti la costituzione prevede che “possono” essere attribuite alle Regioni che ne fanno richiesta “forme e condizioni particolari di autonomia” nelle materie di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni, ma non impone alcun obbligo né prevede alcun termine. Procedendo nella direzione della attribuzione dell’autonomia differenziata ad alcune Regioni occorre avere chiari almeno alcuni punti di riferimento, quali: gli elementi che si possono desumere dal principio costituzionale delle autonomie territoriali; il contesto nel quale l’autonomia differenziata si inserisce; il principio di sussidiarietà nella sua integrale portata.
Sotto il primo aspetto la costituzione, all’articolo 5 compreso tra i principi fondamentali, “riconosce e promuove le autonomie locali”. Le Regioni, i Comuni e gli altri enti territoriali che compongono la Repubblica, “una e indivisibile”, ne sono espressione. L’autonomia, che può avere una portata più o meno ampia nelle diverse materie, trova un limite nel contestuale principio di unità e indivisibilità, che riguarda non solamente territorialità e unità nazionale, ma anche l’ordinamento e l’eguale cittadinanza. Differenziazioni che, sul fondamento dell’autonomia, accentuino oltremodo i poteri dei diversi enti di governo territoriale e la condizione dei cittadini rischiano di essere difficilmente compatibili con l’unità e indivisibilità.
Comporre e rendere reciprocamente compatibili i due principi richiede una buona dose di equilibrio e saggezza. L’autonomia differenziata si inserisce nel quadro generale del sistema delle autonomie delineato dalla riforma costituzionale del 2001. Quello che “può” essere attribuito ad alcune Regioni non può prescindere da quello che deve essere attuato e che riguarda l’equilibrio tra tutte le Regioni. La costituzione prevede un “fondo perequativo” senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante, che consenta di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite. Inoltre prevede risorse aggiuntive per rimuovere, tra i diversi territori, gli squilibri economici e sociali, promuovere lo sviluppo e favorire l’esercizio dei diritti della persona. Il corretto e adeguato dimensionamento di questi interventi, in funzione degli obiettivi che la costituzione indica, precede e condiziona la differenziazione delle autonomie e delle attribuzioni finanziarie che ne derivano. Attenzione, quindi, a non accentuare la divaricazione, sia pure come effetto non voluto, tra le aree più ricche del Paese, amministrate dalle Regioni che hanno fatto richiesta di autonomia differenziata, e quelle meno sviluppate.
L’autonomia differenziata è espressione del principio di sussidiarietà, per il quale le competenze devono essere attribuite al livello più adeguato per svolgerle, in relazione alla dimensioni delle questioni da affrontare e delle attività da svolgere. La sussidiarietà deve operare in verticale sia verso il basso sia verso l’alto. Nel primo caso con l’attribuzione di competenze alle Regioni ed agli altri enti territoriali. Nel secondo con l’attribuzione o il recupero di competenze dello Stato.
È quindi opportuno che le “forme e condizioni particolari di autonomia” che possono formare oggetto dell’autonomia differenziata non rappresentino una definitiva dismissione da parte dello Stato, ma siano retrattabili quando necessario. La innovazione potrebbe essere accompagnata e bilanciata dalla introduzione nella costituzione di una espressa clausola di supremazia dello Stato, della quale anche in altre occasioni si è manifestata la opportunità. Invitare a riflettere su questi temi non significa assumere posizioni di contrasto con la valorizzazione delle autonomie locali. Sollecita piuttosto a considerare le autonomie come parte di un sistema complesso, la cui articolazione deve rispondere a criteri di funzionalità, per il servizio che le pubbliche amministrazioni, nel loro complesso, devono rendere.
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