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Mario Draghi

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La riforma della giustizia sarà approvata alla Camera con qualche giorno di ritardo sul cronoprogramma del PNRR, probabilmente con il voto di fiducia, ma forse non servirà. Paradossalmente non porre la questione rafforzerebbe di più il governo, visto che ha una maggioranza tanto larga da non temere di andare sotto anche se ci fossero un po’ di defezioni di teste calde.

Semmai il rischio è che senza la fiducia qualcuno possa fare il furbo con gli emendamenti, ma è difficile. Piuttosto un passaggio senza quella tagliola costringerebbe di più le componenti che lavorano sotto banco per indebolire Draghi a venire allo scoperto o a dichiararsi sconfitte (cioè sarebbe un problema per Conte).

Insomma il voto di martedì sarà un ulteriore giro di boa nel percorso verso la nuova geografia politica che si preannuncia con l’entrata nel vivo dell’impresa del PNRR e che conduce alla battaglia per il Quirinale.

In mezzo ci saranno tutti i contraccolpi di una campagna elettorale che è chiaramente orientata su una sfida a tre: Lega, PD, Cinque Stelle. Forse qualcuno si stupirà che non menzioniamo la Meloni, ma il fatto è che FdI sta ultimamente perdendo incisività: si è isterilito in una polemica sulla gestione del contrasto alla pandemia senza capacità di mostrare quale linea politica potrebbe proporre per partecipare alla rinascita del paese.
I tre di cui sopra invece sono costantemente impegnati in una lotta fra loro.

Salvini scommette sulla impossibilità che i Cinque Stelle escano dalle loro contraddizioni e non crede che Conte abbia le capacità per capovolgere la situazione. Per questo martella il PD che ritiene, non del tutto infondatamente, il puntello che sorregge un M5S traballante, denunciando con spregiudicatezza questo fatto. Letta gli risponde col più vieto degli argomenti polemici, il richiamo ai leghisti pistoleri, ma non è una vera risposta politica, perché nella vicenda sulla riforma della giustizia non è stato capace di imporsi come il difensore del duo Draghi-Cartabia, sposando invece la tesi di una riforma che era comunque opportuno migliorare.

Ora il problema è che una linea del genere non sembra godere di spazio nel prosieguo del dibattito sulle riforme. Quando si parlerà di fisco, riforma della pubblica amministrazione, concorrenza, il PD avrà di fronte una destra agguerrita su quei temi che ha già usato per le sue demagogie, mentre non sa se avrà al suo fianco un M5S capace di fare gioco di squadra e non semplicemente fuga solitaria nelle sue demagogie particolari. Non si può neppure pensare che tanto quelli siano temi su cui i Cinque Stelle hanno meno bandierine da sventolare, perché, tanto per fare un esempio, saranno toccati più o meno tangenzialmente tanti privilegi o interventi particolari che interessano aree elettorali con cui M5S ha molta contiguità (e, secondo noi, anche Conte).

Il tema diventa a questo punto quanto una coalizione percorsa da tensioni così rilevanti possa non diciamo reggere (quello può avvenire anche per mancanza di alternative), ma consentire quella navigazione ordinata di cui il governo ha bisogno per vincere il sistema di resistenze sorde che le corporazioni oppongono alle riforme (quello che sta facendo una parte della magistratura verso la riforma Cartabia è piuttosto indicativo). Teniamo conto che il confronto fra i partiti non è una disputa che si svolge in un mitico Aeropago di una mitica Atene, ma uno scontro durissimo che avrà una esplicitazione nelle urne d’autunno e che sconterà le pressioni su di essi di tutta una congerie di lobby e gruppi di interesse.

Ora il fatto relativamente nuovo che ci sembra emergere proprio da come si è svolto lo scontro sulla riforma della giustizia è che sta un poco cambiando l’aria nel mondo di coloro che influenzano l’opinione pubblica. La spregiudicatezza con cui alcune forze politiche, ma specialmente Conte e i Cinque Stelle, hanno condotto quella battaglia di bandierine preoccupa chi ha visto il rischio di gettare in crisi la nostra ripresa economica spingendosi sull’orlo di una crisi di governo.

Forse ci sbagliamo, ma ci sembra che mentre prima si pensava che uno scontro ampio e senza regole fra le fazioni favorisse tutto sommato la capacità di manovra di molti centri di interesse e di potere, per cui andava benissimo dargli spazio, adesso ci si convinca che se non si tutela la capacità di direzione competente al vertice del sistema si finisce per buttare a mare una grande occasione.

Dunque, come dice il nostro inno nazionale, “stringiamci a coorte”, o almeno proviamoci.


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