Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia
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TUTTO come da copione. Sul DDL Zan si abbattono un migliaio di emendamenti, sulla riforma Cartabia l’ira grillina a rimorchio dei mal di pancia di parte della magistratura, giusto per dimostrare quale sia la capacità di leadership di Conte sul movimento.
Il messaggio che mandiamo in giro per il mondo è quello di una politica difficilmente governabile, ma chi se ne importa (fra gli esponenti delle forze politiche, ovviamente). Il pensiero prevalente sembra essere: tanto alla tenuta con l’Europa ci pensa Draghi ed alla sua ombra noi partiti possiamo continuare ad occuparci del nostro “travaglio usato” (tanto per usare un’espressione del buon vecchio Leopardi).
ZUFFA PREVISTA
Che sulla legge che riguarda l’omotransfobia sarebbe finita in una zuffa sugli emendamenti (un migliaio) era scontato. Essendo una norma di iniziativa parlamentare non si può tagliare la testa al toro col ricorso alla fiducia, dunque si andrà avanti ad oltranza. Vista la stagione, considerate altre scadenze la prospettiva più probabile è che tutto slitti all’autunno, cosa che in fondo va bene a tutti i partiti che potranno farne materia per la campagna elettorale, ciascuno alla ricerca di quelli che pensa siano facili consensi in certe fasce (tradizionaliste o radicaleggianti). Probabile che poi, alla luce di quel che rivelerà il test delle urne, si ripieghi a trovare quel punto di incontro che in fondo oggi non ha voluto nessuno.
RIFORMA URGENTE
Così però non si potrà fare per la riforma della giustizia, che si deve approvare almeno in un ramo del parlamento entro l’estate, se non vogliamo mandare all’Europa un messaggio sbagliato. E comunque, rimandando tutto all’autunno, si rischierebbe non poco, perché quella stagione non sarà proprio un contesto tranquillo in cui dedicarsi a confronti di alto profilo (ammesso e non concesso che a questo si volesse mirare).
TESTO CONCORDATO
La lezione dei fatti è piuttosto impietosa. Innanzitutto mostra, come la ministro Cartabia ha detto piuttosto esplicitamente, che nelle attuali condizioni i confronti fra e coi partiti non servono a gran che. Lei li ha intrapresi, il testo elaborato è frutto di quelle mediazioni, ma al momento buono tutto salta per il combinato disposto delle richieste di una presenza politica incapace di maturazione e delle impuntature di una parte almeno della corporazione dei magistrati (guarda caso quasi integralmente PM).
Ora, giova ripeterlo, è la vecchia storia di ogni riforma della giustizia: quando si toccano strumenti divenuti inaccettabili dalla coscienza comune, gli inquirenti gridano che allora non si potrà più fare giustizia. E’ successo in tempi per fortuna molto lontani con l’abolizione dell’uso della tortura per la ricerca delle prove (qualche peccatuccio da quelle parti è rimasto …), succede col dibattito sull’abolizione della pena di morte: si sostiene sempre che senza quei “mezzi” non si arriverà mai a dare giustizia ovviamente alle “vittime”. Se poi con quei sistemi si fa anche strame di diritti di innocenti, pazienza: sono danni collaterali che vanno accettati.
La storiella che allora “diventa conveniente delinquere” è una frase di repertorio, che fra il resto sorvola sul fatto che non è che coi sistemi attuali la capacità di ridurre i reati per effetto delle procedure in uso sia poi così evidente. Stupisce l’incapacità delle corporazioni, che si tirano dietro un po’ di politici ed opinionisti disinvolti, di non comprendere che il tema è come affrontare le storture di un sistema che non è in grado di dare giustizia se non godendo di una libertà d’azione molto ampia (poter condurre procedimenti infiniti, per tacere d’altro).
I critici stessi dell’impostazione che offre la riforma Cartabia sostengono che non la si può applicare, non perché sia ingiusta, ma perché non ci sono le risorse umane e strumentali per renderla operante. Il che è, da un punto di vista logico, curioso (si supporrebbe che la logica facesse ancora parte della scienza giuridica): non si rinuncia a far bene, perché ci vorrebbero i mezzi per farlo, semmai si opera per ottenerli, perché è doveroso così.
QUALUNQUISMO
Detto questo, sarà interessante vedere come procede la partita sulla riforma Cartabia. Né Draghi né la Guardasigilli possono cambiare strada: ne uscirebbero distrutti. Più si lascia crescere il qualunquismo giustizialista, ma anche certo finto garantismo, più diventa difficile gestire il passaggio parlamentare. Si può immaginare una debacle grillina senza che ciò terremoti M5S e metta in difficoltà il PD lettiano? Dunque si deve trovare una scappatoia, che in questo contesto dubitiamo possa essere qualche piccolo aggiustamento che allunghi i tempi della prescrizione. Non accontenterebbe i Cinque Stelle e darebbe modo ai loro avversari di scatenarsi in una opposizione dura, perché in fondo sarebbe un’ottima occasione per ridimensionare pesantemente un partito che ha destabilizzato il quadro politico.
DI SCONGLIO IN SCONGLIO
La soluzione che oggi appare più probabile è che l’esecutivo ponga sulla proposta Cartabia, o meglio sull’accordo raggiunto a livello di Consiglio dei Ministri, la questione di fiducia. Rientrerebbe perfettamente nella logica del governo parlamentare. A quel punto tutti sarebbero costretti a dire se l’operazione politica messa in piedi da Mattarella deve continuare o meno.
I Cinque Stelle, o meglio Conte, potrebbero cavarsela votando a favore in nome del superiore interesse nazionale, pur ribadendo la loro opposizione al provvedimento (non molto logico, ma pazienza) e tutto potrebbe andare avanti. Fino al prossimo scoglio, è ovvio.
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