Stefano Bonaccini
4 minuti per la letturaAncora cinque anni per completare il percorso dell’autonomia differenziata tra le Regioni italiane. Dovrà pazientare ancora a lungo, quindi, il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, che ad ottobre celebrerà il quarto anniversario del referendum consultivo popolare che in Veneto approvò a grandissima maggioranza la richiesta di ottenere 23 deleghe dallo Stato su materie strategiche. Il termine del 2026 porterebbe così a 9 anni la distanza dal referendum all’ipotetica riforma, dopo che il problema è già stato affrontato dai governi verde-giallo (con un ministro leghista delegato proprio all’autonomia) e verde-rosso, senza alcun esito. Da qui ad allora chissà quanti altri governi si succederanno.
L’annuncio, che raffredda gli entusiasmi degli autonomisti puù accesi, è stato dato dalla ministra per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, in audizione presso la Commissione parlamentare per le Questioni regionali.“Sul regionalismo differenziato trovo che ci sia una inevitabile sinergia con la questione del federalismo fiscale, la linea dell’esecutivo è quella di completare il percorso entro il 2026, è scritto all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma è fondamentale rispettare un cronoprogramma per completare la perequazione e definire i fabbisogni standard”. L’orizzonte, quindi, è piuttosto dilatato rispetto alle richiesta.
La ministra lo ha confermato: “E’ indispensabile un confronto con i presidenti di regione, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna perchè quelle pre-intese credo debbano essere riprese in mano, dobbiamo essere essere pronti – una volta individuata la legge quadro, che per settembre dovremmo aver definito – sul fronte delle intese”. Due momenti convergenti, ma proiettati in avanti nel tempo. “Penso ci siano le condizioni per sgombrare il campo da dubbi, ci si muove da un lato sul fronte della legge quadro, dall’altro sul fronte delle pre-intese. Queste sono le tappe che dobbiamo fare per arrivare almeno all’approvazione della legge quadro”.
La cornice è quindi complessa. Le pre-intese risalgono al febbraio 2018 e vennero siglate dai presidenti delle tre regioni che per prime avevano presentato le richiesta. Nel frattempo anche altre hanno intrappreso un analogo percorso, con la richiesta di nuove condizioni di autonomia per le Regioni a statuto ordinario. E’ stato il ministro Francesco Boccia, del Pd, ad annunciare il 17 ottobre 2019 la presentazione di una iniziativa legislativa per “definire una cornice normativa unitaria” di attuazione dell’articolo 116 della Costituzione relativo all’Ordinamento della Repubblica.
“Peccato che le pre-intese vennero tenute segrete e firmate quando il governo Gentiloni era ormai prossimo alla scadenza” commenta Marina Boscaino, portavoce di “No Ad”, la sigla che raccoglie i Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti.
Già, perchè non ci sono solo le regioni secessioniste, c’è anche un movimento molto articolato nato due anni fa che ha raccolto l’adesione di un centinaio di associazioni e gruppi, oltre a una quindicina di partiti. La struttura è articolata in una quarantina di comitati territoriali. E’ un percorso di opposizione alle richieste di autonomia che è partito da sette associazioni del mondo della scuola ed è poi cresciuto. “I diritti universali garantiti per tutti interpellano quanti ritengono ancora che il principio di uguaglianza debba costituire il cardine della vita repubblicana. Sottrarre la scuola, la salute, le infrastrutture, l’ambiente, la ricerca scientifica e la tutela dei beni culturali alla legislazione e quindi alla garanzia del controllo statali per assegnarle alle Regioni, significa di fatto determinare diritti e cittadinanza sulla base della residenza. Vuol dire trasformare definitivamente il pubblico in privato, significa dopo il ‘prima gli italiani’ aprire la mortificante deriva del ‘prima i più ricchi’”.
Questi i principi sostenuti da “No Ad”. Dopo una prima assemblea nazionale sono state costruite diverse iniziative. Ad esempio in Emilia Romagna il comitato sta raccogliendo firme per una petizione popolare che chieda al governatore Stefano Bonaccini il ritiro della richiesta di deleghe allo Stato. La Regione deliberò, infatti, con un voto proprio, non si affidò al referendum come fecero Veneto e Lombardia. “Qui è tutto un balletto di numeri, per quanto riguarda le deleghe: il Veneto ne chiede 23, ovvero tutte quelle consentite. La Lombardia ne vuole 20, l’Emilia ne vorrebbe 16” commenta Marina Boscaino. Che spiega. “Il nostro è un Comitato di scopo, non un partito. Abbiamo raccolto tantissime adesioni, anche se poi le componenti di sinistra hanno un po’ frenato, per non mettere in imbarazzo il Partito Democratico”.
“No Ad” ha organizzato anche convegni di sensibilizzazione su temi specifici, per dimostrare come il vero rischio sia quello di creare 20 “piccole patrie”, con diritto di legiferazione su argomenti di interesse generale. Prendiamo il problema delle acque, fiumi, laghi, falde, risorse idriche di montagna, Le singole regioni non possono muoversi separatamente, quando un sistema territoriale influisce inevitabilmente con quelli vicini.
Sull’annuncio della ministra Gelmini è intervenuto il deputato Diego Zardini, del Pd. “Raccogliamo come una sfida possibile e positiva la volontà della ministra di completare il percorso del regionalismo differenziato entro il 2026”. Però ha ricordato come la Commissione abbia ribadito “la centralità del Parlamento in questo delicato processo: proprio l’importanza del tema e gli effetti che la riforma avrà sugli enti locali e sui cittadini, impone una riflessione articolata e piena di tutte le forze politiche e dei rappresentanti di tutti i territori prima che le intese definitive vengano siglate”. Zardini conferma, quindi, la linea di cautela di Bonaccini che ha recentemente ricordato come la lezione del Covid ci abbia insegnato che su alcuni temi un eccesso di regionalismo sia controproducente e serva un indirizzo comune statale. Una doccia fredda per i governatori del Veneto e della Lombardia.
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