Il premier inglese Boris Johnson
5 minuti per la letturaMALEDETTI europei. Tutti o quasi, come Luis Enrique e Ursula van der Leyen, a tifare per l’Italia. Sulla vittoria azzurra a Wembley c’è il marchio “Brexit”, e per questo agli inglesi brucia ancora di più. Le conseguenze per i britannici della Brexit, nonostante la retorica di Ben Johnson, non sono per niente trascurabili.
Sono passati cinque anni dal referendum che approvò l’uscita dall’Unione europea – completata il primo gennaio 2021 – ma la Brexit ha già innescato una serie di conseguenze che incideranno a lungo sulla vita dei britannici. Se l’accordo commerciale tra Gran Bretagna e Unione europea ha permesso di mantenere a zero i dazi per le merci _ come quando il Regno Unito faceva parte del mercato comune europeo _ ma ha comunque aumentato i passaggi burocratici e quindi i costi per gli scambi con i paesi europei. Le maggiori difficoltà hanno provocato un crollo delle esportazioni britanniche verso l’Unione. Il governo britannico ha stimato che negli ultimi cinque mesi il volume degli scambi con l’Unione Europea è calato del 23 per cento.
Già a gennaio le esportazioni di beni britannici verso l’Unione erano diminuite del 41% rispetto al dicembre del 2020. L’accordo trovato peraltro non è nemmeno completo: su alcuni temi, anche molto importanti, manca ancora un’intesa. Il New York Times sottolineava di recente. come esempio, la circolazione dei servizi finanziari, un settore che vale il 7% del Pil britannico (154 miliardi di euro). Altre importanti parti dell’accordo andranno poi quasi certamente rinegoziate nei prossimi anni. A partire dal 2026, secondo gli accordi attuali, il governo britannico avrebbe la facoltà di impedire alle navi europee di accedere alle proprie acque: difficilmente però l’Unione accetterà una soluzione di questo tipo.
Ma l’aspetto più eclatante è che la Brexit non ha aperto i rosei orizzonti di espansione economica che prometteva il premier Johnson. Durante la campagna elettorale del referendum, il comitato che sosteneva l’uscita dall’Unione promise che una relazione meno stretta con i paesi europei sarebbe stata sostituita da legami commerciali più forti «con alleati importanti come l’Australia o la Nuova Zelanda e paesi emergenti come India, Cina o Brasile». Già allora questa era una prospettiva illusoria. Tutti gli esperti avevano avvertito che sostituire il mercato unico più ricco al mondo, cioè quello europeo, sarebbe stato praticamente impossibile: ma per il governo britannico di Boris Johnson si sta rivelando ancora più difficile del previsto.
Al momento la Gran Bretagna è riuscita a stipulare un solo accordo commerciale, con l’Australia, con cui eliminerà gradualmente i dazi in diversi settori, tra cui l’agricoltura (cosa che peraltro ha provocato le proteste degli agricoltori britannici). L’Australia però è dall’altra parte del mondo rispetto a Londra e anche con questo sbandierato accordo commerciale gli scambi rimarranno sporadici e costosi.
Le cifre parlano chiaro. Nel 2019 il Regno Unito aveva esportato beni e servizi in Australia per un valore di 14 miliardi di euro mentre le stesse esportazioni nei paesi dell’Unione Europea avevano fruttato 343 miliardi di euro. Negli ultimi mesi il governo britannico ha intensificato i negoziati con quello indiano per un accordo commerciale piuttosto ampio, ma l’obiettivo, non particolarmente ambizioso, resta quello di raddoppiare il volume degli scambi dai circa 12 miliardi attuali entro il 2030. Con molti altri paesi il Regno Unito ha temporaneamente deciso di mantenere gli stessi accordi in vigore con l’Unione Europea, anche se prima o poi andranno sistemati per rispondere meglio alle esigenze britanniche. Dal punto di vista politico interno la Brexit ha innescato reazione negative destinate a pesare anche nei prossimi anni.
La Scozia, che nel 2016 votò in massa per rimanere nell’Unione, ha già annunciato un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito, legando la decisione al fatto che all’epoca del primo referendum il paese faceva ancora parte dell’Unione europea. Ma la situazione è diventata complicata anche in Irlanda del Nord, perché alcune parti essenziali dell’accordo sulla Brexit hanno di fatto allontanato il territorio dal resto della Gran Bretagna. Il compromesso trovato da Boris Johnson nell’ottobre del 2019, che all’epoca ha risolto lo stallo nei negoziati, prevedeva che l’Irlanda del Nord rimanesse parte sia del mercato comune europeo che dell’unione doganale. In questo modo era stata evitata la costruzione di una barriera fisica fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord – un obiettivo condiviso sia dai negoziatori europei sia da quelli britannici – ma il legame fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito si è assai indebolito: già dalle prime settimane di entrata in vigore dell’accordo era diventato chiaro che le aziende nordirlandesi sarebbero state costrette invece a rafforzare i propri legami commerciali con quelle irlandesi ed europee, cosa che è puntualmente avvenuta.
Ed ecco un’altra amara conseguenza economica della Brexit: le aziende britanniche fanno sempre più fatica a reclutare personale. È il risultato delle norme più severe sull’immigrazione post-Brexit che hanno provocato un vero e proprio crollo del numero di cittadini dell’Unione in cerca di lavoro in Gran Bretagna.
Secondo i dati del sito web “Indeed”, nel mese di maggio le ricerche di lavoro da parte di cittadini europei in UK sono diminuite del 36% rispetto al 2019. I lavori a bassa retribuzione nel turismo, nel settore dell’assistenza e nella grande distribuzione, hanno registrato cali fino al 41 per cento. Si stima che sono circa 1,3 milioni di lavoratori non britannici ad aver lasciato il Regno dal 2019. Molti sono tornati nel loro paese di origine durante l’emergenza pandemica. Imprenditori e manager hanno avvertito che la mancanza di lavoratori stranieri non solo rischia di frenare la ripresa britannica ma potrebbe causare un’impennata dei prezzi per beni e servizi, in quanto la carenza di personale li costringerà a offrire salari elevati per attirare nuove reclute.
Altro che la maledizione calcistica di Wembley, la Brexit avrà per gli inglesi conseguenze ben peggiori.
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