Giuseppe Conte e Luigi Di Maio
4 minuti per la letturaRACCONTANO che il tarlo del sospetto si sia riaffacciato nella mente di Giuseppe Conte già alla seconda telefonata con Grillo, quella conclusasi con il più clamoroso dei “Vaffa” intercorsi tra i due in questi giorni. La virulenta verbosità del Fondatore, la difesa a oltranza del Movimento così come si è strutturato in questi anni, ambiguità e contraddizioni comprese, sembravano tagliate su misura sulla silhouette del giovane filo-cinese titolare della Farnesina, proprio come uno dei suoi abiti di sartoria.
Il dato non era sconosciuto, al geometrico gioco delle sinapsi contiane, che ha sempre immaginato come le due parabole politiche, la sua e quella di Luigi Di Maio, fossero inversamente proporzionali. Da questo al “cui prodest?” il passo è stato breve, brevissimo. “Vuoi vedere che… sotto sotto?”.
Se ancora ci fosse chi osi paragonare la liquidità ideologica dell’ex premier al dotto iper-realismo andreottiano, potrebbe – per una volta a ragione – applicare il sillogismo sul “pensar male s’indovina” alle riflessioni di Conte. Se non ispiratrice dell’ira funesta di Beppe Grillo, la tela ordita in queste settimane dal ministro degli Esteri aiuta non poco a spiegare quanto si è scatenato ora in un Movimento che pare già oltre il punto di rottura conclamato, con la scissione pronta, e Conte descritto “con le spalle al muro, perché è chiaro che se non facesse adesso il suo partito darebbe ragione a Grillo che gli dà dell’incapace…”, dice un anonimo di quelli che lo seguiranno. Una trentina, forse quaranta, deputati e un drappello di senatori talmente ardimentosi che non avrebbe esitato a chiedere aiuto a Leu per costituire gruppo con un simbolo presentato alle elezioni (Conte li ha subito bloccati per l’evidente rischio di confondere ancora di più un potenziale elettorato che vede in lui la versione moderna, in pochette, di Aldo Moro).
Assieme a essi a rompere gli indugi con dichiarazioni tranchant negli ultimi giorni il ministro Patuanelli, il viceministro Cancelleri (uno dei più infervorati sul nuovo progetto), il capogruppo dei senatori Licheri, la sindaca torinese Chiara Appendino (che aveva progettato già di rilanciarsi come leader nazionale, dietro Conte). Ma anche se i volti e le parole in queste ore mostrano sofferenze di circostanza, ciò non toglie che nel burrascoso quadro astrale delle stelline cadenti ci sia un tertium gaudens, laggiù alla Farnesina voluta dal Duce.
Non è un caso che, dopo aver assistito silente al piano inclinato che si inclinava sempre di più, fino al punto di non ritorno, sia toccato proprio a lui, il figliuol prediletto da Beppe, il semper laudato ministro della prim’ora grillina, capo politico del trionfo del ’18, fare anche il doppio passo dell’“omicida perfetto”: ovvero andare in missione per conto di Beppe a casa di Conte per convincerlo a ingoiare il rospo e ricomporre le schegge impazzite. Così, di fronte alla domanda-cruciale postagli dall’ex premier: “Ma tu con chi stai?”, lo sgusciante ragazzo di Pomigliano d’Arco ha fatto capire che lui sta con Beppe: da una vita e per tutta la vita. Anzi, per meglio dire: lui sta con se stesso. Difatti nella storia del Movimento che “Giuseppi” ora sta frettolosamente ripassando, subito dietro le chiome dei due cofondatori, s’intravvede il cranio rasato del “bibitaro” (nomignolo con il quale è conosciuto dalle parti del governatore De Luca – almeno fino all’accordo su Manfredi sindaco di Napoli).
E questa ammissione di Di Maio, sempre così diplomatico, capace di dire tutto senza dire mai niente, ha rappresentato il cinguettio dell’allodola, per Conte. Che già nelle 36 ore precedenti aveva ragionato con i suoi fedelissimi in termini crudi: “Se Beppe non vuole perdere il controllo del Movimento, Di Maio vuole far fuori me”. “E’ stato chiaro fin dal principio – commenta con il Quotidiano del Sud l’eurodeputato ex grillino Ignazio Corrao (da tempo approdato ai Verdi europei) – quale fosse la partita in gioco: il controllo del simbolo, anzitutto, e la libertà del Garante di uscire come e quando vuole con le sue visioni futuribili e spesso spiazzanti. Però è chiarissimo anche che per Di Maio il primo obbiettivo è sempre stato quello di indebolire Conte e renderlo poco influente, specie sui nomi delle prossime liste dei candidati alle Politiche. Lì si gioca il futuro: Di Maio vuole infarcirle dei suoi prima che sia troppo tardi”.
Per i “due democristiani”, come li considera Corrao, le sfumature della politica politicienne poco importano. Però è vero che se un Movimento a guida Grillo-Di Maio può essere capace di qualunque alleanza, persino con un Salvini vincente nel ’23, lo schema di Conte non fuoriesce dall’alleanza organica con il Pd. Anzi, dicono alcuni dei suoi fedelissimi che la posta in gioco sia ancora più alta, perché “nel suo progetto è prevista la scalata al Pd, attraverso le primarie.
Conte è sicuro che tra un ex premier spigoloso e perdente, come Letta junior, e uno così amato dalle gente, come lui si ritiene da avvocato del popolo, non ci sarebbe partita neppure dentro il popolo della sinistra”.
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