Giuseppe Conte insieme a Beppe Grillo e a Luigi Di Maio
4 minuti per la letturaL’UOMO è abile, va riconosciuto, e sa comunicare. L’intervento di Conte è riuscito a tenere insieme la volontà di non mollare il ruolo che ha ancora a portata di mano senza rompere il meccanismo che gli può conferire quel ruolo. Nessun “game over”, a meno che non sia Grillo a dichiararlo. L’impressione è che sappia già che da quella parte non c’è alcuna intenzione di farlo, almeno per ora.
Vediamo di dipanare la matassa che il capo politico in pectore ha presentato, confezionandola impreziosita di abili rinvii al vecchio populismo (attenzione ai bisogni dei cittadini che perdono il lavoro, agli imprenditori in difficoltà, alle famiglie che non arrivano a fine mese) e di tributi alla democrazia interna (tutto legittimato dal voto degli iscritti).
Il primo punto da sottolineare è che per la prima volta ha lasciato intravvedere una costruzione in cui accanto alla sua posizione ne immagina un certo numero di altre: due vice presidenti, un Consiglio Nazionale, forse qualche altro organismo. Il classico schema per offrire posti ai membri dei gruppi dirigenti di M5S, qualcosa di molto diverso dal “uno vale uno”. E’ curioso che poi nel rispondere alle domande cerchi di annegare tutto questo nel solito mantra del “ma interrogheremo sempre tutti sulla piattaforma”, faremo partecipare tutti, persino i non iscritti, ai nostri dibattiti. Questo non nasconde il classico schema del papa coi suoi cardinali, che è tipico di tutti i partiti totalitari (definizione tecnica, senza offesa). Era parzialmente così anche con Grillo e Casaleggio da quando i Cinque Stelle sono arrivati nei Palazzi, solo che non era formalizzato, mentre adesso lo diventerà, segno evidente che Conte ha bisogno di tenersi stretti i gruppi dirigenti che si sono formati dal 2013 ad oggi.
Il secondo punto è l’addomesticamento della democrazia plebiscitaria. Conte si impegna a far votare tutto: lo statuto che ha elaborato e che oggi consegnerà a Grillo e a Crimi perché lo pubblicizzino in vista di farlo votare sulla piattaforma, ma soprattutto la sua posizione per cui chiede una approvazione non a risicata maggioranza perché allora non ci sta, mentre in caso contrario ci metterà impegno e passione. Sono cose da manuale per descrivere cos’è la democrazia plebiscitaria, dove nulla nasce per elaborazione condivisa dal basso, ma tutto passa per una proposta dall’alto verso cui si chiede e si ammette solo l’acclamazione.
Tutto è giustificato sul principio della “organizzazione complessa” per cui diventa facile sostenere che ci vuole un leader che abbia il pieno controllo della linea politica, ma soprattutto della “comunicazione” (molto indicativo). Conte non vuol fare “il prestanome” ed è comprensibile, ma è curioso che ribadisca che si iscriverà al movimento solo nel momento in cui sarà riconosciuto come capo. Un tempo una affermazione di questo tipo sarebbe stata impronunciabile, ma il fatto che i partiti siano diventati “imprese politiche” la rende digeribile: chi fa il manager o il CEO va dove gli offrono di fare quel mestiere, altrimenti non è interessato. La “militanza” è roba da lasciar fare alla base.
Il terzo punto è il rapporto con Grillo. Qui si dimostra tutta l’abilità dell’avvocato e dei suoi spin doctor. Lui non ha mai voluto scuse dall’Elevato, ha senso dell’umorismo e sa che le battute sono battute, anzi ha grande rispetto per il carisma del visionario. Vuole solo una distinzione razionale fra il ruolo di controllo dei supremi principi, che spetta al “Garante”, e il ruolo di gestore della politica attiva che spetta al leader del movimento. Perché Grillo dovrebbe sottrarsi ad una distinzione che è di lana caprina, perché la storia è piena di capi di varia natura che sono stati disarcionati per avere tradito gli ideali nell’esercizio della loro azione politica? Per rafforzare l’offerta di questa mela avvelenata Conte nel rispondere ad una domanda ha spiegato che il Garante può sempre promuovere l’impeachment del capo politico sottoponendolo al voto degli iscritti.
Apparentemente è un’offerta attraente per l’Elevato che potrebbe ritenere di tenere sotto scacco il capo politico, essendo difficile che questi possa pesare più di lui nello stabilire se si tradiscono o no i valori fondativi, visto che è colui che li ha inventati. In realtà a controllare il meccanismo della messa in stato di accusa saranno il capo politico e le strutture del nuovo movimento che difficilmente saranno invogliate a far fuori un capo politico di successo per pure questioni di ortodossia.
Conte, che ovviamente non è sciocco, l’ha ammesso quando, sempre rispondendo ad una domanda, ha detto che in politica se uno non raccoglie successi viene per forza messo da parte, quali che possano essere gli arzigogoli previsti in uno statuto. In definitiva Conte ha giocato bene le sue carte. Con queste premesse non solo è difficile per Grillo assumersi l’onere di far saltare tutto (non è neppure nel suo interesse), ma soprattutto si garantisce l’appoggio delle strutture dirigenti di M5S che hanno tutta la convenienza ad inserirsi nel nuovo schema (dove è facile immaginare si troverà soluzione anche per la faccenda dei due mandati).
Per i militanti c’è la buona vecchia retorica dell’ecologismo, della lotta alle disuguaglianze , del civismo attivo e via elencando, sufficiente per ridare un po’ di entusiasmo alla base di un “partito” già divenuto tale e che è interessato a non perdere la fetta di potere che si è conquistato, che sarà anche ridimensionata, ma è sempre sostanziosa.
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