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Luigi Di Maio

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Se l’abbia fatto per una sua maturazione personale o per adeguarsi ai tempi nuovi che non sopportano più le intemerate populiste ha poca importanza. In politica i fatti contano più delle motivazioni che li determinano. Ci riferiamo ovviamente alla ormai famosa lettera mandata dal ministro Di Maio al “Foglio”.

Il dato importante è che il maggior personaggio politico dei Cinque Stelle ha sentito il bisogno di distaccarsi da una delle caratteristiche fondative del Movimento: l’attacco volgare e immotivato a qualsiasi persona con cui confermare la teoria a Cinque Stelle che si vive in un mondo inaccettabile per cui bisogna fare sempre dei repulisti. A quel modo di ragionare si sono adeguati senza remore tutti i personaggi che hanno fatto carriera in M5S. In questi giorni i media si divertono a riproporre le pseudo-catilinarie in cui si esibirono i vari Di Battista, Toninelli, Taverna e via elencando.

Il tema politico che è quello che rileva, evitando di scadere nei moralismi. Viene in rilievo in questo caso la vacuità della posizione di Conte come leader. Era difficile pensare che potesse prendere le distanze di suo da un modo di comportarsi che non gli può essere imputato. Nella sua attività pubblica non ci sono toni da demagogia forcaiola di cui aveva motivo di scusarsi. Avrebbe dunque dovuto censurare un modo di procedere di un movimento cui non aveva partecipato, cosa complicata da fare dall’esterno e che avrebbe potuto costargli qualche problema di rapporto con i vari cacicchi a Cinque Stelle. Per questo ha taciuto fino a che non si esposto un personaggio di peso radicato nel movimento a cui ha dato, accodandosi, uno scontato supporto.

E qui viene il secondo punto rilevante: piaccia o meno, Di Maio è l’unico che ha vera statura di leader in M5S. Bisogna riconoscere che Grillo aveva visto giusto quando lo aveva incoronato “capo politico”. L’attuale ministro degli esteri è quello che più è maturato esercitando funzioni di governo. Non è stata una via rapida, né lineare, ma l’ha percorsa. La sua stessa scelta di accettare nel Conte 2 il ruolo di ministro degli Esteri ha rivelato quantomeno il fiuto di chi ha capito che non ci si legittima senza un percorso di apprendistato attraverso le vere esperienze di governo.

Dove lo porta ora questo percorso? Ecco la domanda chiave. Di Maio ha quantomeno intuito che siamo in una nuova fase, che il “cambio di passo” che vari spin doctor del movimento si ostinano a negare si sta invece compiendo e che bisogna mettersi sulla lunghezza d’onda di questo. Ora si dovrà vedere se lo fa per salvare una sua posizione personale o se è in grado di guidare su questa strada se non tutto il movimento pentastellato, almeno un suo nucleo rilevante.

In questo caso avrà il problema di relazionarsi con Conte. L’impresa non è di per sé impossibile, ma certo non è facile, perché mentre lui ha una vera “storia politica” e un radicamento anche territoriale, l’ex premier è debole su questi. Accanto a questo dovrà trovare col PD un raccordo che non è agevole, perché se vuole giocare la parte del leader dei Cinque Stelle ha bisogno di non alienarsi la base del movimento (e non è un caso che arrivi a sostenere la battaglia persa della Raggi), ma al tempo stesso deve “normalizzarlo” facendogli abbandonare le furie da descamisados che ne hanno fatto un tempo le fortune. E qui non avrà solo il problema di Di Battista e soci, ma anche quello di personaggi come Bonafede, e di tutto il mondo di supporter anche titolati che gli stanno dietro e intorno.

Molto in politica avviene per gradi. Si inizierà con l’esito della avventura elettorale a Napoli con la candidatura dell’ex ministro Manfredi, figura che rientra bene in questo nuovo quadro di normalizzazione dei Cinque Stelle all’interno di una rinnovata ipotesi di centrosinistra. La città è un bacino sia dei Cinque Stelle che dello stesso Di Maio, dunque come andranno le cose sarà indicativo. Poi verrà la gestione dell’esito complessivo delle amministrative, a cominciare dallo scottante caso di Roma. Infine si arriverà all’elezione del successore di Mattarella.


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