Mario Draghi prende appunti
5 minuti per la letturaA SCUOLA da Mario Draghi si è costretti ad apprendere in fretta. La regola vale per tutti, anche per i ministri chiamati ad un lavoro di veloce assimilazione. Perché alla fine non ci saranno corsi di recupero ma solo un verdetto: tutti promossi o tutti bocciati.
Con la ricostruzione si riparte da zero: ecco il Bignami del presidente del Consiglio. Si parte dal linguaggio pubblico, quello che Gianrico Carofiglio definirebbe la manutenzione delle parole: fare è più importante che comunicare. E non è solo una questione accademica bensì di sostanza. Con le opere messe in cantiere con il Recovery plan si rischia l’ubriacatura, la moltiplicazione degli annunci . Tante medaglie che politici e amministratori farebbero a gara ad appuntarsi sul petto.
Nel breviario draghiano l’enfasi delle varie fasi che precederanno la realizzazione delle opere verrà considerato un errore da matita blu. Un governo extralarge è più esposto di altri al pericolo assembramenti intorno al “taglio del nastro”.
La “raccomandazione” alla sobrietà riguarderà tutti i passaggi: fattibilità, fase attuativa, cronoprogramma. Nella valutazione delle opere inserite nel Recovery plan conteranno più fattori. Ma il Sud sarà comunque centrale. E poco importa se nell’esecutivo la presenza di ministri meridionali è scarsa. Contano gli interessi connessi all’economia nazionale e ormai tutti (o quasi) hanno capito che il Mezzogiorno non potrà continuare ad essere una zavorra. Al contrario dovrà essere punto da cui ripartire per ricostruire.
Investire nel Meridione è la precondizione in base alla quale le risorse del Recovery and resilience facility verranno stanziate. Mario Draghi lo ha ripetuto ai ministri in un recente incontro. Insieme ad un altro concetto basilare: la fine dell’emergenza. O meglio: la necessità di lavorare “velocemente ma per un orizzonte di lungo periodo”. Un esempio concreto: la realizzazione di un progetto di turismo stanziale al Sud e il nuovo ruolo dell’Italia al centro del Mediterraneo. Che vuol dire alta velocità ferroviaria per collegare le varie località, porti internazionali, servizi e strutture sanitarie adeguate, fisco-amico per attrarre chi oggi preferisce stabilirsi per lunghi periodi in Portogallo piuttosto che alle Canarie.
“La crisi-Covid – si fa osservare a questo riguardo – è iniziata un anno fa e non si sa quanto ancora potrebbe durare. Ogni provvedimento d’urgenza dovrà essere improntato all’ eccezionalità. Il governo utilizzerà solo in casi estremi, legati all’aggravarsi della situazione sanitaria, ai Dpcm. Si sceglierà il percorso del decreto legge coinvolgendo sempre il Parlamento. Se è questa è la premessa, va detto anche che la principale preoccupazione dell’ex uomo di Francoforte è “il rafforzamento dell’azione amministrativa”.
Tema che Draghi conosce bene e ha sperimentato di persona negli anni trascorsi al Tesoro. Non a caso la scelta del sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio è caduta su Roberto Garofoli, un magistrato pugliese inviso ai 5Stelle e caro a Matteo Renzi che lo chiamò al Mef durante la sua presidenza a Palazzo Chigi. Garofoli e come lui l’altro segretario generale Roberto Chieppa, ex Garante del Mercato e della Concorrenza, nonché magistrato della Corte dei conti, avranno un ruolo strategico. Secondo alcuni c’è già la loro impronta nell’approccio che Mario Draghi ha voluto dare alla inaugurazione dell’anno giudiziario dei giudici contabili. La relazione del presidente del Consiglio è il manifesto della futura azione di governo. Nel rapporto tra chi ordina le opere e chi controlla si forma infatti il groviglio che paralizza il Paese. Draghi ne è convinto. Sa che andare “oltre le schermaglie normative” è il primo vero nodo da sciogliere e sta preparando il terreno. Come? Puntando in primo luogo sugli staff già collaudati nei vari ministeri affiancati da pochi affidabili consulenti.
E’ appena il caso di ricordare che per le realizzazione delle opere del Recovery Plan il precedente governo aveva nominato una cinquantina di commissari senza però dotarli di alcun supporto. Segretarie, collaboratori, persino i computer in qualche caso. Seconda premessa: parlare di modello Genova sic sempliciter è solo un modo per fare propaganda politica, Quel modello eccezionale non è riproducibile. Però qualcosa si può fare.
All’inizio verranno sbloccate le opere da realizzare entro un arco di tempo breve, evitando spese improduttive. “Bruxelles ha bisogno di segnali immediati”, si sussurra nei corridoi umbertini dei ministeri. Tutto ruoterà intorno a 4 grandi dicasteri : Transizione ecologica; Transizione digitale; Sviluppo economico ed Economia, al quale è affidata la regia. Per saltare la burocrazia senza allentare i controlli, la Corte dei conti verrà coinvolta sin dall’inizio, prima ancora che venga gettata la prima pietra.
Ai magistrati contabili verrà chiesto di avere un ruolo consultivo e non “punitivo”. Servirà ad evitare intoppi improvvisi ma anche ad attenuare i timori dei pubblici ufficiali dinanzi alla presa di responsabilità che un giorno potrebbero costare care. La cosiddetta “paura della firma”, la prudenza eccessiva che tanto immobilismo ha generato nella lunga stagione del debito pubblico.
“Per accelerare le procedure e realizzare le opere in tempi accettabili basterebbe adeguare il nostro Codice degli appalti ai vincoli Ue senza appesantirli ulteriormente – suggerisce il professor Aristide Police, ordinario di Diritto amministrativo all’università Luiss Guido Carli –. Sarebbe uno straordinario passo avanti. Si eviterebbero pubblicazioni sulla Gazzetta ufficiali, aggiudicazioni e buste con la cera lacca senza cestinare i legittimi princìpi della concorrenza”.
La strada imboccata da Draghi prevede procedure più veloci, controlli preventivi e in caso di ricorsi accolti dal Tar e dal Consiglio di Stato meno demolizioni e più ristori. Meglio completare un’opera rimborsando l’azienda danneggiata che bloccare tutto, è il ragionamento alla base di questa scelta. Demolire, riaprire il cantiere, aggiudicare di nuovo i lavori, comporterebbe infatti un danno maggiore per l’erario e disagi per i cittadini.
L’ultimo riflesso del metodo Draghi avrà infine una ricaduta sul nuovo ruolo dell’Italia: l’uso del potente sistema di relazione che permette al presidente del Consiglio di alzare la cornetta e chiamare in qualsiasi momenti i leader europei e non solo europei. La politica estera demandata al premier e non all’inquilino della Farnesina. Vuol dire gestione condivisa delle politiche Ue. Non più calate dall’alto ma decise insieme agli altri partner. E scusate se è cosa da poco.
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