La grande incognita della burocrazia e delle scartoffie sull’azione di rinnovamento di Draghi
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DRAGHI procede per la sua strada. Come sempre in questo genere di situazioni ci sono due livelli. C’è quello della “scena politica” dove si intrecciano le ambizioni dei partiti e il desiderio dei mezzi di comunicazione di fare da loro cassa di risonanza (in modo più o meno partigiano). C’è quello della “politica di gestione” dove si devono valutare problematiche complesse: un lavoro che si svolge lontano dai riflettori e che richiede più tempo di quanto si immagini.
TROVATA GRILLINA
Il caso del cosiddetto super-ministero della transizione ecologica è emblematico di questo intreccio. Da un lato è una brillante trovata di Grillo per far apparire una scelta abbastanza scontata come una vittoria dei Cinque Stelle imposta a Draghi. In realtà si sa che la cosiddetta “svolta green” è uno dei pilastri del Recovery Plan, sicché era necessario trovare un ministero dentro cui collocare il coordinamento di questi interventi.
Grillo ha intuito che si andava in quella direzione e si è inventato il nome da dargli, in modo da farlo apparire una cosa inedita, il che gli ha consentito di chiedere ai militanti che interroga su Rousseau di non ostacolare la loro “conquista”. Poi, già che c’era, ha fatto aggiungere che il nuovo governo nasceva per salvare il gran lavoro pentastellato nel Conte 2, ma quello se l’è inventato di sana pianta.
Ovviamente al presidente incaricato non è parso un grande sacrificio accettare una etichetta (fino ad un certo punto) grillina per un organismo che può essere molto utile e che comunque andava fatto. Tanto perché fosse chiaro che ci si fermava lì, non ha accettato di fare alcuna dichiarazione sul tema come gli chiedeva l’Elevato, ma si è limitato a rendere pubblica la “sua” scelta per bocca della presidente del WWF, il che sottolineava semplicemente che si trattava di una richiesta che veniva da più parti e che lui raccoglieva motu proprio.
Dall’altro lato si sta sicuramente procedendo ad inquadrare questa, ma probabilmente anche altre scelte, nell’ambito di una sistemazione delle articolazioni del governo. Un ministero nuovo e di quella importanza non significa solo decidere chi lo dirigerà (e già non è cosa banale), ma stabilire competenze che vanno accorpate, sottratte, ecc., nonché coordinazioni con altri dicasteri che resteranno titolari di interventi con ricadute sulla “svolta green”.
Per chi anche solo superficialmente si intende di queste problematiche si tratta di operazioni complesse che vanno studiate e pianificate con la massima attenzione. Draghi sa benissimo che il successo del suo governo dipenderà in buona parte dalla possibilità di organizzare in maniera efficiente e con la massima qualità il lavoro delle burocrazie ministeriali e collaterali (per esempio quelle regionali). Carlo Calenda, che è uno dei politici che hanno conoscenze e visioni in questo campo, lo ripete in continuazione. Vale naturalmente sempre, ma diventa decisivo quando ci si trova a fronteggiare una emergenza che deve essere riportata il più possibile sotto controllo in tempi ragionevoli. Anzi, per tenere insieme la maggioranza molto vasta ma altrettanto eterogenea che sosterrà il suo governo, Draghi avrà bisogno di ottenere una certo numero di risultati significativi ed evidenti nei famosi primi 100 giorni del suo mandato.
LA LUNA DI MIELE
E’ la fase della cosiddetta luna di miele, quando si può far conto sulle attese favorevoli della pubblica opinione (attualmente molto alte) e quando i partiti che hanno fatto nascere l’esperimento hanno grandi difficoltà a soffocarlo nella culla. Questo è importante non solo per la navigazione parlamentare, elemento certo da non sottovalutare, ma anche per superare il tasso di resistenza ai cambiamenti che verrà dal reticolo dei poteri burocratici e para-politici. Si tratta di un aspetto determinante.
Molti insistono giustamente sull’impatto del “ciclone Draghi” sul sistema politico, ma spesso lo vedono limitato solo alla geografia dei partiti, che certo, come si sta vedendo, ne è molto scossa. Si dimentica o si sottovaluta però che all’ombra di quella geografia si sono creati e hanno prosperato ambienti i quali si sono costruite le loro nicchie di potere: questi non saranno tanto disponibili a vedersi ridimensionati, se non addirittura marginalizzati e cercheranno alleanze nelle pieghe del mondo dei partiti per mettere in difficoltà i piani del nuovo inquilino di palazzo Chigi. Se si saranno almeno parzialmente bonificati quegli ambienti sfruttando il tempo della luna di miele, non sarà certo un risultato da poco.
SUSSULTI PD
Draghi ha ottenuto il via libera anche dalla consultazione Cinque Stelle su Rousseau, con una ottima partecipazione di votanti e con un risultato del 59,3% a favore e il 40,7% contro. Questo era importante non solo per accentuare quella prospettiva di sostanziale solidarietà di tutti al di là delle formule politiche chiesta da Mattarella, ma anche per evitare “scarti” del PD. Come si è visto dalla relazione di Zingaretti alla direzione nazionale, quel gruppo dirigente è ancora fermo sulla beatificazione della formula di grande alleanza PD-M5S-LeU: respinge che si tratti di una posizione di subalternità, ma non offre prove di esercitare una leadership in quel contesto (quella del “senso di responsabilità” non basta).
I Cinque Stelle peraltro non ragionano affatto in termini di fedeltà a quella coalizione e lo si è visto benissimo nelle parole con cui Crimi, commentando i risultati del voto su Rousseau, ha buttato lì un negoziato con Draghi sul governo. Insomma dobbiamo vedere ancora delle puntate di questa telenovela, ma il presidente incaricato non è uomo da farsi condizionare.
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