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Beppe Grillo con Fico e Di Maio

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Correva l’anno 1976 e il Pci alle elezioni politiche aveva serie possibilità di effettuare il sorpasso. Fu allora che Indro Montanelli chiosò “Turiamoci il naso e votiamo Dc”. La frase, per quanto lapidaria, è diventata nel tempo la colonna sonora dell’elettore medio italiano, la scelta del male minore. E non risparmia in queste ore i grillini che pure si sentono diversi da tutti gli altri. “Cosa è meglio per i cittadini? Fare testimonianza e assistere da fuori ad un governo che potrebbe anche rilancia il Paese grazie alle molte risorse che avrà a disposizione oppure partecipare e turarsi il naso?”.

SOLO BEPPE IN PISTA

Beppe Grillo la sua scelta l’ha fatta. Guiderà la delegazione 5Stelle che incontrerà il presidente incaricato Mario Draghi. E già questo dovrebbe bastare per indicare la svolta. “Non ci piacerebbe passare nell’immaginario collettivo come quelli che mentre Draghi salvava l’Italia se ne stavano a guardare”, è l’interpretazione che un big dà della venuta a Roma del guru genovese. “Solo Beppe ha l’autorevolezza per dire al presidente incaricato quello che sta emergendo. E cioè che senza di noi, che in Parlamento valiamo almeno un 30%, qualsiasi governo non si può fare. Se si farà perciò sarà merito nostro. E non certamente di Renzi. Fuori c’è la Pandemia, un piano vaccini che non parte. Ci sono mille ragioni per far ripartire il Paese e dare un segno di responsabilità”.

La delegazione sarà composta dal garante, da Vito Crimi, dai due capigruppo di Camera e Senato, Crippa e Licheri e dai due vicari Ricciardi e Cioffi. Si viene a sapere così che Grillo è venuto a Roma anche su sollecitazione del ristretto gruppo che tiene le fila dei parlamentari. “ Semmai ci sarà un trattativa potrà essere Crimi a sostenerla? Lui è un reggente in regime di prorogatio, sta lì solo grazie al Covid., è sempre stato il ventriloquo di Di Maio: a che titolo e con quale autorevolezza avrebbe parlato?”.

IL REGGENTE

Non a caso, proprio Crimi, è stato colui che un minuto dopo aver saputo che Mattarella avrebbe tirato fuori dal cilindro la carta Draghi, ha sparato a zero. Un’uscita a piede libero che probabilmente il reggente 5Stelle dovrà rimangiarsi. Il clima è da caccia alla streghe. Ma gli attacchi al senatore bresciano nascondono il vero obiettivo: Di Maio. Se dovesse restare fuori dal governo, per la prima volta Giggino, come lo chiama per denigrarlo il governatore della Campania De Luca, dovrebbe sedere tra gli scranni come qualsiasi parlamentare.

Neanche il tempo di mettere piede a Montecitorio e venne subito eletto vice-presidente della Camera. Poi, nella XVIII legislatura, vice primo ministro, ministro del Lavoro e dello Sviluppo e al tempo stesso capo politico del Movimento, prima di arrivare alla Farnesina. Il percorso in senso opposto e contrario al suo alter ego Alessandro Di Battista che scelse invece di allontanarsi dalla politica attiva facendo il Che Guevara in Sudamerica salvo pentirsene sulla via del ritorno.

A Roma ora ci sono tutti. E’ arrivato anche Davide Casaleggio. Tre giorni fa ha incontrato i referenti della piattaforma Rousseau, lo strumento della democrazia diretta finito fatalmente in disuso. Casaleggio jr ha chiesto ufficialmente di utilizzarla per dare agli iscritti la possibilità di scegliere. Volete Draghi o no? Che poi, come ha ricordato l’ex ministra Barbara Lezzi, una che ha sempre il dente avvelenato, vorrebbe dire anche ingoiare Berlusconi, Calenda e forse anche Salvini, (“una sciagura per gli italiani, esistono limiti che devono essere riconosciuti”).

I big si muovono dietro le quinte. I penoes escono allo scoperto, Francesca Flati, deputata, sintetizza il pensiero di molti iscritti. Spiega: “Siamo di fronte ad un problema cruciale, una nuova sfida che non possiamo affrontare inseguendo pregiudizi e dogmo. Non avrebbe senso vincolarci ad un No ideologico. Allo stesso tempo il nostro non può essere un Si a tutti i costi, ascolteremo e valuteremo senza fare sconti su nostri temi e sui nostri valori”.

SPACCATURA TOTALE

La divisione è totale. Persino al “Fatto quotidiano” , che per un lungo periodo è stato l’House Organ dei 5Stelle, Marco Travaglio e Peter Gomez non la pensano allo stesso modo. Il primo è convinto che salpare sulla nave dell’ex banchiere di Francoforte equivalga ad un suicidio collettivo, la definitiva cremazione del Movimento. Il secondo fa un ragionamento più articolato, ricorda che in definitiva il fine ultimo non è la continuazione, la conservazione in vitro di quel che resterà del Casaleggio pensiero bensì a lo scioglimento dopo aver contribuito al bene comune.

Un profilo gandhiano cerca di darselo anche il presidente della Camera Roberto Fico, uno che non più tardi di 3 anni fa, parlando in un centro sociale di Napoli, la città che un giorno vorrebbe amministrare da sindaco, disse che il Movimento “conclusa la sua rivoluzione culturale, dopo la contaminazione la politica, avrebbe esaurito il suo compito e sarebbe sparito”. Sarà. Ma intanto a sparare contro la Riforma dello Statuto sono proprio i Big al secondo mandato. Non loro direttamente ma i loro seguaci. Altro che siluro a Draghi! C’è già chi si preoccupa come restare incollato alla poltrona dopo il 2023.


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