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Matteo Salvini e Luca Zaia

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IL RINVIO del federalismo fiscale è sparito. Era stato inserito nella prima bozza di bilancio. Era lì fino a venerdì sera: articolo 151, disposizioni in materia di autonomia delle Regioni a statuto ordinario.  Spostava di un anno gli effetti della legge n° 68 del 6/5/2011. Slittava di altri 12 mesi il sogno di indipendenza economica cullato a lungo dai governatori leghisti. La Terra promessa: le mani sull’Irpef. L’articolo è stato stralciato su richiesta della commissione Bilancio alla presidenza della Camera perché ritenuto «ordinamentale e localistico». Con la conseguenza che le Regioni potranno ritoccare le aliquote di compartecipazione al gettito Iva e rideterminare l’addizionale regionale Irpef.

Per qualcosa che scompare eccone un’altra che appare: la Legge quadro disegnata dal ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, collegata alla manovra. Se approvata dal Parlamento darebbe il via all’Autonomia differenziata, ovvero al passaggio alle tre Regioni che ne hanno fatto richiesta. Lombardia-Veneto ed Emilia-Romagna Cosa è successo per far saltare quell’articolo di 12 righe contenuto nella bozza del disegno di legge? Quale potente illuminazione è sfrecciata dinanzi agli estensori prima che il testo approdasse in Parlamento?

LA MINACCIA EMENDAMENTI E IL RISCHIO PER I RISTORI

Alzare lo sguardo sul governo vorrebbe dire di questi tempi raccogliere solo vertiginose negazioni. Si viene però a sapere che la manovra, tra la prima e la seconda bozza, è stata “aggredita” da un migliaio di emendamenti. Seicento solo quelli del Carroccio. Un numero che si va moltiplicando e che potrebbe mettere a rischio l’approvazione del provvedimento. Senza dire che la manovra si intreccia con l’approvazione dei decreti Ristori 1/2/3 dove ballano cifre e contenuti. Un eventuale ritardo nell’erogazione dei benefici spaventa solo a pensarci. «C’è da chiedersi come mai quell’articolo 151 sia scomparso dal testo originario – avanza sospetti Antonio Saccone, senatore Udc e membro della commissione Bilancio del Senato – Se c’è qualcosa che non ha funzionato in questa pandemia è proprio il sistema sanitario basato sul decentramento. Qualche domanda, quando tutto sarà finito, dovremo farcela», dice il senatore, che sulla questione federalismo è sempre stato cauto, privilegiando innanzitutto la “Questione romana”. Che l’autonomia sia diventata una merce di scambio? L’ultima possibilità di sventare il blitz è affidata al decreto Milleproroghe. Uno scenario già visto in passato. Tutto questo accade mentre d’ora in avanti l’attenzione si sposterà sul primo scostamento di bilancio da otto miliardi, cui ne seguirà un altro a gennaio, ancora in corso di valutazione, non inferiore comunque ai 20 miliardi.

LO SCONTRO SULLE CENTRALI IDROELETTRICHE

Nel giro degli intrighi au -dessa du table sarebbe rientrata, secondo fondi ben informate, anche la questione delle concessioni idroelettriche. Tema che sta molto a cuore all’Europa. Materia complessa e traversale in cui competenze statali e regionali si intrecciano. È in gioco la gestione del bene demaniale per eccellenza, l’oro del Terzo Millennio. L’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà legislativa per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema mentre si cede alle Regioni trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. A partire dal 2018, con il Dl 135 e poi con il decreto Semplificazioni convertito in legge (12/2019), sono state apportate modifiche rilevanti. La prima riguarda la disciplina delle concessioni. Alla scadenza si disponeva la regionalizzazione, un passaggio Stato-Regioni previsto anche in caso di decadenza o rinuncia. Agli enti locali veniva demandato il compito di legiferare per stabilire le modalità delle procedure di assegnazione. Termine ultimo 31 ottobre 2020.

A RISCHIO I PROGETTI DEL RECOVERY

Complice anche la pandemia, i compiti a casa non li ha fatti nessuno o quasi, a parte la Provincia autonoma di Trento, il Piemonte e la Regione Lombardia. Fatti male, però, visto che il Cdm ha impugnato la legge varata dal Pirellone. Risultato: nella prima bozza della Manovra l’articolo che disponeva il dietrofront è stato stralciato. Sparito anche questo. Ed ecco che ancora una volta, su pressione del Carroccio – interessato a portare a casa la gestione delle centrali piemontesi, venete e lombarde – l’articolo è svanito. Scomparso, sparito.

Va ricordato che la questione delle concessioni ci è costata finora già un paio di richiami da Bruxelles. L’Italia, in due distinte missive, è stata messa in mora per aver violato le norme comunitarie. Violazione della concorrenza. Il decreto Crescita conterrebbe privilegi per i concessionari in scadenza, rendeva impossibili le gare, “sottraeva risorse pubbliche a vantaggio degli uscenti” impedendo il rinnovo di impianti obsoleti e il risanamento, come suggerito nella direttiva 123/CE del 2006. Bruxelles in più occasioni è tornata alla carica, accusando i politici italiani di non seguire procedure trasparenti e imparziali. Fino al punto che non era l’amministrazione o l’ente a stabilire le condizioni delle attività concesse, bensì il contrario, era l’operatore che dettava le sue condizioni.

La Regione Piemonte avrebbe dovuto riassegnare 67 concessioni di cui 11 già scadute, Il dl regionale (numero 87) appena approvato rischia di fare la stessa fine di quello lombardo. Le concessioni valgono decine di milioni di euro con un aumento del 15% di energia pulita e un risparmio di acqua. Ma il rimpallo Stato-Regioni per il momento ha causato una paralisi. Energia Futura-Utilitalia, la principale associazione del mondo elettrico italiano, attacca la nuova normativa che secondo loro presenterebbe diversi profili di illegittimità e, una volta a regime, comporterebbe oneri economici difficilmente sostenibili per i concessionari. Dinanzi all’incertezza hanno ridotto o sospeso gli investimenti in un asset che il Piano integrato Energia e Clima ritiene strategico e che, con i Recovery plan, potrebbe dare in tutti i sensi una scossa al Paese finito in corto circuito causa Covid.   


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