Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte
7 minuti per la letturaNELLA mia lunga esperienza all’interno della Pubblica Amministrazione ho avuto modo di leggere tanti Disegni di Legge di bilancio dello Stato, ma mai, dico mai, avrei immaginato di dover leggere un provvedimento quale quello varato ultimamente dal Governo presieduto dal professor Giuseppe Conte. Mi soffermo in particolare su quattro punti del Disegno di Legge: quello legato all’assegnazione di risorse al comparto delle infrastrutture e dei trasporti, quello sulla decontribuzione nel Mezzogiorno, quello sul ponte sullo Stretto di Messina e quello relativo alla identificazione di un Fondo di risorse che forse arriveranno in un prossimo futuro.
Prima di entrare nel merito di ogni singolo punto ritengo utile riportare una parte di quanto dichiarato dal professor Sabino Cassese sul Corriere della Sera di pochi giorni fa sul disegno di legge: “provvedimento ricco di briciole distribuite a pioggia, misure di corto raggio invece che di finanziamenti per trasporti, scuole, ferrovie, verde attrezzato, altre infrastrutture che guardano al futuro e che potrebbero dare un impulso all’economia e un segnale alle imprese private.
Non si sa se questa preferenza per il contingente piuttosto che per il permanente sia più imputabile al corto respiro delle forze politiche che come dice l’ex ministro Tria confondono lo star al governo con il governare o all’inefficienza degli apparati pubblici che si sono dimostrati incapaci di programmare e progettare interventi e opere e di realizzare quindi spese in conto capitale”. Non solo condivido una simile critica ma la limitatezza del provvedimento è quasi paradossale: l’attuale Governo nel 2023 sosterrà sicuramente una campagna elettorale ed ha ragione il professor Cassese nel meravigliarsi della preferenza per il “contingente”, nella assenza di un respiro programmatico ampio. Cioè è come se il Governo ritenesse opportuno solo “sopravvivere”.
Ma entriamo nel merito dei quattro punti da me anticipati e cominciamo con quello relativo alle infrastrutture e per rendere leggibile la volontà del Governo nell’assegnare le risorse ho ritenuto utile utilizzare il quadro prodotto dal Ministero dell’Economia inserendo le voci più significative del comparto delle infrastrutture e dei trasporti.
Leggendo un tale quadro appare evidente che le risorse vere quelle realmente disponibili sono quelle relative al 2021 e ciò sempre in base al Decreto Legislativo 93 del 2016, che ricordo sempre, e in base al quale si lavora solo per “cassa”, cioè si lavora solo con le risorse disponibili nell’annualità il resto è soggetto ad autorizzazione, è soggetto ad anticipazione. Siamo quindi, nel triennio ad appena un quarto delle esigenze e nell’anno 2021 ad appena un dodicesimo e, se entriamo nel merito dei Contratti di Programma delle Ferrovie e dell’ANAS, scopriamo ancora una volta che le risorse per la infrastrutturazione del Mezzogiorno sono modeste.
Il mio non è un allarme è solo una evidente denuncia della “non volontà a fare” e sembra quasi che le risorse sono assegnate con il netto convincimento della mancata spesa e quindi un vero modo per “depositare risorse”. D’altra parte solo dieci giorni fa abbiamo scoperto, leggendolo su Il Sole 24 Ore, che le risorse assegnate per interventi infrastrutturali dalla Legge di Stabilità 2020, cioè risorse che avremmo dovuto avviare a spesa entro questo anno, pari a 19,7 miliardi di euro erano praticamente privi di decreti attuativi e quindi “non attivati a spesa” (ribadisco che questa notizia è vera). Mi fermo qui perché penso sia sufficiente per capire che la stasi completa nei lavori pubblici degli ultimi sei anni, che il fallimento di 120.000 imprese del comparto delle costruzioni, che la perdita di 600.000 occupati nel comparto edile non sia stata assolutamente capita dall’attuale Governo.
Passiamo alla norma sulla decontribuzione del Sud, una norma senza dubbio condivisibile ma da redigere in modo da essere davvero fruibile e concreta; in particolare l’articolo 27 del decreto-legge 104/2020 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia) convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, ha previsto la concessione di un esonero del 30% dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro privati non agricoli con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente per il periodo 1° ottobre 2020 – 31 dicembre 2020. (non è una mia svista il Decreto legge parla solo di tre mesi, cioè appare evidente che trattasi di un provvedimento che nei fatti non poteva avere nessuna applicazione).
Nell’attuale Disegno di Legge di Stabilità all’articolo 27 si estende l’agevolazione per gli anni dal 2021 al 2029 con agevolazioni differenziate: 30% per gli anni 2021-2015; 20% per gli anni 2026-2027; 10% per gli anni 2028-2029. L’agevolazione è concessa per il primo semestre 2021 previa autorizzazione della Commissione europea, nel rispetto delle condizioni del Quadro Temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19 (Comunicazione CE 19 marzo 2020 C (2020) 1863. Dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2029 l’agevolazione è concessa previa adozione della decisione di autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa in materia di aiuti di Stato applicabile. Ho voluto riportare integralmente tutti i passaggi della norma per rendere chiaro un vincolo che ritengo davvero insormontabile: “l’agevolazione è concessa previa adozione della decisione di autorizzazione della Commissione Europea”.
Quindi ancora un modo per annunciare una azione impossibile per il Mezzogiorno. Ancora più impossibile se si tiene conto che la copertura di una simile norma avviene in parte con il “Fondo di rotazione per l’attuazione del Next Generation EU – Italia” Sì di quel Fondo su cui mi soffermerò dopo e che allo stato non ha nessuna copertura. (Purtroppo anche questo è vero).
Sul ponte sullo Stretto di Messina, non dico nulla sull’articolo 129 che definisce il procedimento di liquidazione della Società Stretto di Messina. Non dico nulla perché ha già pensato chi ha ritenuto opportuno stralciare tale articolo dal Disegno di Legge perché appare di carattere ordinamentale ed è privo di effetti finanziari.
Mi soffermo invece sulle le risorse, pari a 50 milioni di euro, assegnate nel triennio 2021 – 2023, come riportato nella Tabella Uno, per la redazione del Progetto di fattibilità “Stretto di Messina”. Questa scelta pone in modo irreversibile una duplice scelta del Governo: il mancato inserimento del progetto definitivo disponibile del ponte sullo Stretto all’interno del Recovery Plan e la dichiarata volontà di essere a tutti gli effetti responsabile di danno all’erario. Sembra la mia una denuncia pesante ed eccessiva ma sarà bello verificare nel 2023, quando sarà pronto il progetto di fattibilità, cosa diranno gli attuali responsabili della cosa pubblica per aver perso una occasione e per aver distrutto definitivamente un patrimonio progettuale di eccellenza.
Infine c’è la proposta davvero più preoccupante, mi riferisco all’articolo 184 (Misure di attuazione del Next Generation EU – Istituzione del Fondo) Per assicurare la tempestiva attivazione degli interventi da realizzare nell’ambito del Programma Next Generation EU, il comma 1 prevede l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze del “Fondo di rotazione per l’attuazione del Next Generation EU – Italia” con una dotazione complessiva di 120.653 milioni di euro per il triennio 2021-2023 così ripartiti nel 2021 34.775 milioni, nel 2022 41.305 milioni di euro e nel 2023 44.573 milioni di euro.
Nel fondo sono iscritte le risorse relative alle diverse componenti del Programma Next Generation EU. Però stiamo parlando di una Legge di bilancio e non di un atto programmatico, ripeto il Parlamento sta esaminando un Disegno di Legge di bilancio non le conclusioni di una conferenza, quindi è davvero inconcepibile che si invochi un Fondo legato a qualcosa che verrà e che nel migliore dei casi sarà disponibile solo dopo che il Parlamento europeo avrà varato davvero il Recovery Fund, solo dopo che la Commissione ed il Consiglio avranno approvato il nostro Recovery Plan cioè forse alla fine del 2021. E, come dicevo prima a proposito della norma sulla Decontribuzione al Sud, è penoso utilizzare questo Fondo inesistente per coprire una finalità giusta ed interessante ma, a mio avviso, legata ad un parere della Unione Europea e ad una copertura allo stato inesistente.
Lo so mi si dirà che per dare consistenza a questo Fondo andremo per ora sui mercati indebitandoci ed allora perché non lo si è detto apertamente, perché si è preferito raccontare un itinerario allo stato oggetto di un difficile confronto. Forse qualcuno all’interno del Governo crede ancora alle assicurazioni del presidente Conte fornite il 21 luglio alla fine del Consiglio dei Presidenti della Unione Europea: “Entro la fine del 2020 avremo la prima tranche del 10% del Recovery Fund”. Purtroppo non è stato così perché non era così. In realtà il titolo di questa mia nota non è una provocazione infatti è meglio far riferimento ad un passato che esiste che ad un futuro, ancora una volta, inventato.
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