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Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti

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LA SITUAZIONE è tale che al termine del vertice di maggioranza che avrebbe dovuto sciogliere gli ultimi, è più importanti, nodi del decreto Semplificazioni, tra le forze in campo mancava l’accordo anche su quale questione restasse ancora sul tappeto: sull’abuso d’ufficio «è stata raggiunta un’intesa di massima», diceva il senatore Pd Franco Mirabelli, lasciando Palazzo Chigi, mentre la collega Loredana De Petris di Leu registrava che «non si sono fatti passi avanti». Italia viva, dal canto suo, faceva sapere di aver chiesto lo stralcio della norma. Insomma, un iter quanto mai complicato per un decreto che aspira alle semplificazioni. E che lo ha portato all’esame dei tecnici, nel pre Consiglio dei ministri, con un testo aperto, che sembrerebbe preludere a un varo in Cdm con la formula “salvo intese”. Si racconta di un premier “nervoso” davanti ai tanti ostacoli spuntati sul cammino del provvedimento. «Se annacquato, spolpato… Allora niente Cdm», avrebbe detto, intenzionato a non sacrificare sull’altare della sintesi di maggioranza i tasselli essenziali che lo compongono.

LE QUESTIONI APERTE

Le questioni aperte sono tante: il “condono” che seppur stralciato, sembra sopravvivere in alcune deroghe, la riforma dell’abuso di ufficio, gli appalti. Si si è discusso di cifre e di soglie: opere – questa sarebbe stata la proposta avanzata dal presidente del Consiglio – fino a 150 mila euro in procedura diretta, fino a 350mila inviti limitati a 5 operatori; a 10 da 350mila fino a un milione; a 15 da uno fino a 5 milioni. Per i contratti sopra la soglia comunitaria dei 5 milioni prevista la gara e non l’affidamento diretto. E poi l’iter per velocizzare le grandi opere, i commissari e i loro poteri.

IL CDM RINVIATO

La data del Cdm resta in forse: il premier avrebbe voluto chiudere oggi. Sabato diventa il nuovo orizzonte. Ma in serata fonti di governo non escludono che il confronto possa continuare anche nel weekend nel tentativo di arrivare a un testo il più possibile condiviso, senza snaturare il provvedimento. «Io ho fretta, frettissima. Anche la maggioranza. Bisogna essere responsabili, siamo tutti responsabili», dice il premier. Affermazioni che suonano come un appello ai suoi alleati di governo. Cui segue un incontro con il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, con il quale, racconta poi il premier «c’è piena convergenza sul decreto Semplificazioni da portare presto in Cdm. La pensiamo allo stesso modo: bisogna correre». Il sottotitolo dovrebbe essere questo: la convergenza politica c’è, si troverà la sintesi anche sul piano tecnico.

E la risposta del Nazzareno sembra confermarlo: in una nota si parla di un «positivo incontro di chiarimento dopo le incomprensioni. Il Governo ha la forza per decidere e fare le cose. Il Pd è il primo sostenitore della sburocratizzazione dello Stato e della semplificazione». Ma la sintesi nei fatti non c’è ancora. Veti e distinguo, alleanze variabili, posizioni sorprendenti: su alcune delle 48 norme su cui è costruito il provvedimento le forze in campo si sono tra loro composte e ricomposte secondo schemi via via variabili. Su alcuni articoli il gioco delle parti cui eravamo abituati è addirittura stravolto. Così troviamo i 5Stelle, paladini della legalità e della trasparenza, schierati con Conte nella strenua difesa dell’articolo 10 passato come un condono edilizio mascherato, con Pd, Iv e Leu sull’opposta barricata, fino allo stralcio dal provvedimento.

ALLEANZE MUTEVOLI

Ancora, i pentastellati a favore della riforma dell’abuso d’ufficio – seguendo Conte nella battaglia contro la “paura della firma” che paralizza molti funzionari pubblici per il rischio di essere coinvolti in inchieste della magistratura e richieste di danni della Corte dei conti – con Italia Viva ad accusarli di volere una norma ad personam, perdipiù per decreto, visto che sia l’Appendino sia la Raggi sono chiamate a risponderne. Il partito di Renzi insiste per lo stralcio. Avversari sull’abuso d’ufficio, 5Stelle e Italia Viva trovano un’inedita sintonia sul commissariamento per le opere considerate strategiche, sul quel Modello Genova osteggiato invece dal Pd che pur non aveva ostacolato l’adozione di disposizioni urgenti e droghe per l’Expo di Milano e appunto la ricostruzione del ponte dopo il crollo del Morandi.

Ma tanto sugli affidamenti senza gara per i lavori fino alla soglia europea (5,2 miliardi di euro), quanto sul commissariamento, il Partito democratico resta irremovibile. Che la questione sia ancora aperta, lo confermano le parole del sottosegretario alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, che parlando di un Modello Italia «veloce e snello», fa appello al coraggio per sbloccare “i 100 miliardi di opere pronte a partire e che servono al Paese, da Nord a Sud. Mentre Iv insiste sull’inserimento dell’elenco delle opere “urgenti” nel decreto, ma si accontenterebbe anche di vederle in un altro provvedimento purché contestuale.


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