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SOLAMENTE prendendo in considerazione il 2018, in base alla regola del 34% della ripartizione delle risorse in conto capitale, mancano all’appello 3,5 miliardi di euro di investimenti per il Sud. La stima è della Svimez, che disegna un quadro drammatico soprattutto, ma non solo, dal punto di vista delle infrastrutture, materiali e immateriali. Nel 2018, stima la Svimez, la spesa in conto capitale è scesa al Mezzogiorno da 10,4 a 10,3 miliardi, mentre nello stesso periodo al Centro-Nord è salita da 22,2 a 24,3 miliardi.
IL CROLLO
Gli investimenti infrastrutturali al Sud, che negli anni ‘70 erano circa la metà di quelli complessivi, negli anni più recenti sono calati a un sesto di quelli nazionali. In questo quadro andrebbero, quindi, rafforzate le politiche di coesione, che dopo il 2020 potranno disporre di 60 miliardi, di cui il 70% al Sud. Secondo lo studio della Svimez, nell’ultimo ventennio la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno e ha aumentato in questo modo il divario tra Nord e Sud. Crollano gli investimenti pubblici nel Sud Italia, cresce lento il Pil del Mezzogiorno, che nel 2018 è aumentato solo dello 0,6% rispetto all’1% dell’anno precedente: un’equazione automatica. La ricetta Svimez? Investire più risorse pubbliche, rafforzare le politiche di coesione e puntare sul Green New Deal. Le infrastrutture, e in generale le opere pubbliche, dovrebbero rappresentare il motore di un Paese. Invece, negli ultimi 10 anni in Italia gli investimenti pubblici in opere stradali e del Genio civile hanno registrato una flessione del 21% e non sono stati ancora recuperati i livelli di spesa pre-crisi 2008, fermi al 2002.
È questa la fotografia scattata dal Consiglio nazionale degli ingegneri. Attualmente, il 24% delle linee ferroviarie del Sud è a doppio binario a fronte del 60% delle linee del Centro-Nord. Il 49% delle linee ferroviarie del Mezzogiorno è elettrificato a fronte dell’80% di quelle del Centro-Nord. Tra il 2010 e il 2016 i porti del Mezzogiorno hanno registrato una flessione del 19% in termini di tonnellate movimentate, con un lieve recupero nel 2017, a fronte di un incremento dell’8% e del 3% rispettivamente al Nord e al Centro. Tra il 2004 e il 2014 la rete autostradale è aumentata, in termini di km, del 7% al Nord e del 3% al Sud. A questa situazione, vanno aggiunte 400 opere, per un valore di 27 miliardi di euro, bloccate per motivi burocratico – autorizzativi, per contenziosi e mancanza di decisione. Al 31 dicembre 2018 la spesa per l’Agenda digitale è del 32,7%. Come certificano l’Agenzia per la coesione territoriale e il Nucleo di valutazione e controllo, nel processo di realizzazione delle opere pubbliche in Italia il 53% del tempo è impiegato dalla Pubblica amministrazione per l’espletamento di procedure, verifiche, controlli, rilascio di autorizzazioni, mentre la parte restante è impiegata per l’effettiva realizzazione dell’opera. Per opere oltre i 100 milioni di euro, il periodo medio di realizzazione è di 15 anni.
LA CORTE DEI CONTI
Anche i giudici della Corte dei Conti lo hanno ribadito per l’ennesima volta nel “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”: «Non è ancora stabilito il percorso di superamento del criterio della spesa storica». Tradotto, il Sud viene ancora scippato dei suoi soldi per infrastrutture, oltre che per asili, scuole e ospedali con il trucco delle tre carte. Non solo. «Le recenti istanze di regionalismo differenziato – si legge nel documento – rendono potenzialmente ancora più problematico il percorso verso un quadro stabile di federalismo simmetrico. Anche per gli enti locali appare fermo il processo di definizione dei fabbisogni legati alle funzioni fondamentali, e molta incertezza, negli anni, si è manifestata sul ruolo di specifiche fonti di finanziamento».
LE OPERE BASILARI
Insomma, gli investimenti per lo sviluppo del Mezzogiorno rischiano di non allontanarsi troppo da quel 0,15% che grida giustizia. E ai 62 miliardi già dirottati verso le Regioni del Centro-Nord si aggiungeranno altre risorse. Eppure, è all’Italia intera che servirebbe correggere questa stortura per ripartire. Sulle infrastrutture il Sud attende da troppi anni, eppure oggi ci sarebbero tutte le condizioni per realizzare, in tempi certi, alcune opere fondamentali: la metropolitana di Napoli Linea1, il nodo ferroviario di Bari, la Metropolitana di Catania, la Metropolitana di Palermo, l’Alta velocità ferroviaria Napoli – Bari – Lecce – Taranto, l’Alta Velocità ferroviaria Palermo – Messina – Catania, l’Asse stradale 106 Jonica, il collegamento stabile sullo Stretto di Messina, per un investimento totale di 23 miliardi. Per la Metropolitana di Napoli Linea1, l’alta velocità ferroviaria Napoli – Bari – Taranto – Lecce, il nodo ferroviario di Bari, l’Asse stradale 106 Jonica, basterebbe solamente rivisitare il cronoprogramma per contenere al massimo i tempi di realizzazione: valore complessivo 8 miliardi.
SCOSSA ALL’ITALIA
Interventi, opere, investimenti che darebbero una scossa positiva non solo al Mezzogiorno, ma all’intero sistema Italia, permettendo al Paese di presentarsi più competitivo in Europa. Servirebbe una manovra che prenda le mosse da un punto fermo: ridare al Sud quello che gli è stato sottratto negli ultimi 20 anni. Al Mezzogiorno servono strade e ferrovie moderne, la sintesi del declino della spesa infrastrutturale in Italia e al Sud in particolare sta nel tasso medio annuo di variazione nel periodo 1970-2018, che è stato pari a -2% a livello nazionale: -4,6% nel Mezzogiorno e -0,9% nel Centro-Nord. Gli investimenti infrastrutturali nel Sud negli anni ‘70 erano quasi la metà di quelli complessivi, mentre negli anni più recenti sono calati a quasi un sesto del totale nazionale. In valori pro capite, nel 1970 erano pari a 531,1 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 451,5 e il Sud a 677 euro. Nel 2017 si è passati a 217,6 euro pro capite a livello nazionale, con il Centro-Nord a 277,6 e il Mezzogiorno a 102 euro.
RANKING EUROPEO
La conseguenza è che nel ranking regionale infrastrutturale della Ue a 28, la regione del Mezzogiorno più “competitiva” è la Campania, che occupa una posto a metà graduatoria (134° su 263), seguita da Abruzzo (161°), Molise (163°), Puglia (171°), Calabria (194°), Basilicata (201°), Sicilia (207°) e Sardegna (225°). Al Sud, a parte la realizzazione di alcune tratte autostradali con terze corsie e l’adeguamento della Salerno-Reggio Calabria, l’incremento di autostrade è stato molto limitato e si è concentrato tutto o quasi in Sicilia.
«Il segnale del disimpegno degli investimenti pubblici in questo ambito – si legge nell’ultimo rapporto Svimez – sta nel peggioramento della dotazione relativa di autostrade nel Mezzogiorno. Rispetto alla media europea a 15 Paesi (posta uguale a 100), la dotazione di autostrade del Mezzogiorno è passata, dal 1990 al 2015, da 105,2 a 80,7 nel 2015». Per quanto riguarda la dotazione di linee ferroviarie, molto carente nel Sud è lo sviluppo dell’Alta Velocità (AV), con soli 181 km di linee, pari all’11,4% dei 1.583 chilometri della rete nazionale; nel Centro-Nord la rete è di 1.402 km, pari all’88,6% del totale. Nel confronto con la Ue (rete AV ponderata sulla popolazione dei soli Stati membri dotati), l’indice di dotazione dell’Italia nel 2015 è pari a 116, con il Centro-Nord a 156,5 e il Mezzogiorno appena a 38,6. D’altronde basta guardare la cartina delle direttrici dell’Alta velocità – esistenti o ancora da realizzare – per accorgersi visivamente che l’Italia delle ferrovie – non solo quella, per carità – è spaccata in due: su tutta la linea adriatica, da Bari sino a Bologna, c’è il vuoto, così come dalla Puglia alla Sicilia.
Mentre al Nord è fitta la “ragnatela” di linee che si intrecciano e uniscono ogni angolo del settentrione. Se al Sud c’è solamente il 16% dell’Alta velocità è merito di decenni di mancati investimenti. Non può spiegarsi diversamente il fatto che le linee sono elettrificate per l’80 per cento al Nord e per il 50 al Sud; oppure che nel Mezzogiorno circolano meno treni che nella sola Lombardia. I porti del Mezzogiorno, pur vantando numero e lunghezza degli accosti nettamente superiori a quelli del Centro-Nord, presentano una dotazione estremamente modesta, con un indice sintetico pari a 58,9 dovuto alla forte carenza di capacità di movimentazione e stoccaggio delle merci.
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