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Un’economia che arranca da un quarto di secolo, imbrigliata tra i vecchi nodi che ne hanno mortificato le potenzialità, rendendola sempre più povera: dal 1995 ad oggi il peso del Mezzogiorno sul Pil nazione si è progressivamente ridotto, passando da oltre il 24% al 22% nel 2019. È la fotografia scattata dall’Ufficio studi di Confcommercio che mette a fuoco i fattori che impediscono al Sud di cambiare passo: deficit strutturale, spopolamento giovanile ma anche il mancato sfruttamento del suo giacimento culturale e turistico.

La distanza dal resto del Paese è andata ampliandosi per via di una produttività bassa, “ostaggio” delle carenze infrastrutturali del territorio, della burocrazia e dalla criminalità. E a causa di un livello di occupazione che ha registrato una crescita cumulata pari a un quarto della media nazionale – 4,1% contro 16% – scontando la riduzione della popolazione residente, su cui negli anni la fuga di cervelli ha fatto sentire il suo peso, considerando che il Sud ha perso oltre 1,5 milioni di giovani.

Se questi “difetti” che comprimono il prodotto pro capite in modo permanente fossero ridotti, secondo Confcommercio, nel giro di un decennio il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% (+90 miliardi di euro). Ad oggi, intanto, il rapporto tra il prodotto pro capite reale di un abitante del Mezzogiorno rispetto a quello di un abitante del Nord Ovest è sceso da 0,55 (55%) a 0,52.

«Le politiche per il riequilibrio territoriale – sottolinea l’Ufficio Studi – dovrebbero prevedere un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione e nella formazione e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità – dai trasporti alla banda larga – che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud al resto del Paese e all’Europa. La riduzione di questi deficit aumenterebbe il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche proveniente dall’estero».

Sull’occupazione pesa la dinamica della popolazione, di quella giovanile soprattutto che nel Mezzogiorno ha registrato un vero e proprio crollo che conta oltre 1,5 milioni di giovani in meno: restare, mortificando aspirazioni e studi o partire in cerca di migliori opportunità è il bivio di fronte al quale si trova la maggior parte dei giovani meridionali. Negli anni il Sud ha visto ridurre il suo peso nel Paese, passando dal 36,4% al 33,9%, ma se l’Italia tra il 1995 e il 2019 l’Italia nel complesso ha perso oltre un milione di giovani (da poco più di 11 milioni a poco più di 10 milioni) questa perdita, rileva Confcommercio, è dovuta ai giovani meridionali. Pesante l’impatto sul mercato del lavoro: «nei quasi cinque lustri considerati, la crescita cumulata dell’occupazione per il totale Italia (16,4%) è 4 volte quella del Sud (4,1%)».

Per invertire il trend all’orizzonte si profila l’occasione storica del Recovery plan: colmare il gap infrastrutturale, secondo il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, è prioritario. Ma il Sud ha altre due carte da giocare: la nuova sfida green, con la transizione verde. Ma soprattutto quell’asso finora rimasto nella manica, ovvero il turismo, un settore con potenzialità enormi finora sottoutilizzate: basti pensare, rileva Confcommercio, che «in valore assoluto le presenze straniere di tutto il Sud risultano inferiori a quelle del solo Lazio». L’incidenza percentuale della spesa degli stranieri sui consumi interni è in Italia del 4%, ma mentre al Centro arriva al 5,6%, al 5% e al 3,6% rispettivamente nel Nord Est e nel Nord Ovest, nelle regioni meridionali si ferma al 2,3%.

C’è un patrimonio fatto di bellezze naturali, percorsi culturali e clima favorevole, da mettere «a reddito», dice Bella «per consentire alle regioni meridionali di partecipare al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo».


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