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Un’immagine del passato coloniale: truppe italiane occupano la stazione ferroviaria etiope di Dire Daua, nel 1936

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Il Mezzogiorno colonia dello Stato Italiano? Il meccanismo coloniale si ritrova, per fare qualche esempio, nell’uso del capitale umano. Ogni anno viene attratto nelle realtà settentrionali adesso anche incentivi ad hoc. O nel turismo sanitario di necessità verso il Nord come nella formazione scolastica


Osserva Pablo González Casanova, in “La democracia en México”: “Il colonialismo non si verifica, a differenza di quanto comunemente si pensa, solo a livello internazionale. Bensì anche all’interno di una singola nazione”. Per il sociologo messicano il “colonialismo interno corrisponde ad una struttura di relazioni sociali basate sul dominio e sullo sfruttamento tra gruppi culturalmente eterogenei e distinti”.

La domanda che sorge spontanea è se il Mezzogiorno abbia le caratteristiche di una colonna interna dell’Italia. Tale evidenza è stata sempre negata. In realtà la gente del Mezzogiorno vota i propri rappresentanti al Parlamento nazionale che poi contribuiscono in modo molto rilevante alla formazione del Governo e quindi alla gestione del Paese. Tale evenienza da sola porterebbe ad escludere che si possa parlare di colonia. Ma un ragionamento più attento porta a guardare alcune situazioni che porterebbero a conclusioni diverse. Perché ad una analisi più approfondita il Nord risulta estremamente estrattivo nei confronti del Mezzogiorno, il quale spesso viene usato in funzione ancillare rispetto al Paese.

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IL MEZZOGIORNO COLONIA DELLO STATO ITALIANO, COSA È ACCADUTO IN PASSATO

Si può cominciare guardando quello che è accaduto nei primi anni Sessanta. Quando si portarono una serie di impianti di raffinazione nel Sud del Paese per produrre energia e raffinare petrolio, che sarebbe servito per la macchina produttiva del Centro Nord. Lasciando ai territori meridionali, inquinamento e malattie diverse a cominciare da quelle tumorali. Adesso si continua invadendolo di impianti eolici, solari e progetti di rigassificatori, che le regioni del Nord non vogliono, come si è visto da quello che hanno deciso in Piemonte, e che serve a produrre energia per la macchina produttiva con lo stesso meccanismo degli anni Sessanta.

Il meccanismo coloniale si ritrova in modo preciso nell’utilizzo del capitale umano formato, che ogni anno viene attratto nelle realtà settentrionali. Adesso anche con meccanismi di incentivazioni con il pagamento delle spese per la casa. Tale emigrazione costa alle regioni del Sud 20 miliardi l’anno. Considerato che il numero di coloro che lasciano il suolo natio per sempre è di circa 100.000 unità.

La mancata infrastrutturazione con il blocco per anni dell’Autostrada del Sole a Napoli e dell’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno conferma il tipo di approccio che vede queste realtà meridionali interessanti solo quando devono dare qualcosa.
L’approccio alla sanità che prevede che per curarsi bisogna spostarsi dal Sud è un altro elemento che conferma l’idea che il tipo di trattamento per le due parti è totalmente diverso. Così come anche la formazione scolastica che in alcuni casi al Nord prevede il tempo pieno diffuso. Così come la presenza di asili nido sufficienti e in un’altra parte invece l’assenza totale di essi.

IL MEZZOGIORNO COLONIA DELLO STATO ITALIANO: I RAPPRESENTANTI ELETTI IN PARLAMENTO

Ma quello che distingue una colonia da un Paese libero e la possibilità di eleggere i propri rappresentanti che incidono sul governo del Paese. In tal senso sembrerebbe che l’ipotesi di base non funzioni.
In realtà i meridionali eleggono i propri rappresentanti che partecipano al governo del Paese. Spesso in posizioni apicali tanto da ricoprire frequentemente anche l’incarico di presidente della Repubblica.
Ma tale presenza in Parlamento in realtà è di una classe dominante estrattiva. Funzionale alla classe vera di dirigente del Paese nordica, alla quale essa è asservita, con il fenomeno dell’ascarismo tipico delle colonie.
Peraltro nei partiti nazionali tali eletti hanno un ruolo molto marginale. E se non si allineano alle decisioni provenienti dai gruppi che li gestiscono in funzione degli interessi del Nord vengono immediatamente emarginati.

IL CASO DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Quello che è successo con l’autonomia differenziata dimostra in modo preciso l’assunto. È passata con il voto determinante dei rappresentanti meridionali che se non avessero votato secondo le indicazioni dei partiti di riferimento sarebbero stati emarginati immediatamente.
É quel meccanismo che utilizzava Andreotti, per esempio, nel rapporto con il suo luogotenente Salvo Lima, che garantiva un consenso necessario a gestire il Paese in cambio di aver mano libera in Sicilia. Con accordi peraltro non proprio cristallini con la criminalità organizzata e con la mafia.

Quindi una classe dominante estrattiva che approfittando di una base non particolarmente consapevole e estremamente bisognosa di tutto e che riesce a indirizzare il processo democratico bloccando la situazione e lasciando la rappresentanza alla gestione di poche famiglie, che continuano ad avere i pacchetti di voti, tanto che passano da un partito all’altro, con disinvoltura, portandosi dietro il consenso che viene raccolto con le reti e non con la canna da pesca.
D’altra parte in una realtà nella quale riuscire ad avere un lavoro è vincere la lotteria, chi detiene il potere può fare il bello e cattivo tempo. Come peraltro avviene. Quindi la caratteristica dell’autogestione per cui non si configurerebbe la colonia interna in realtà non riveste i presupposti che le votazioni hanno in un Paese libero.

I PROBLEMI LEGATI AL MONDO DEI MEDIA

A questo bisogna aggiungere che l’informazione che arriva e i media che fanno opinione sono controllati dal Nord del Paese. Per cui, anche il voto è molto influenzato da chi riesce a indirizzare l’opinione. Insomma, o ti allinei rispetto ad un racconto prevalente pilotato oppure sei totalmente emarginato.
Cosa fare perché questa situazione possa mutare non è facile a dirsi. Certamente le leggi elettorali possono modificare alcuni meccanismi incoraggiando la formazione di raggruppamenti locali. Per esempio, se il quorum per le europee e nazionale fosse stato a livello di aree territoriali, alcuni partiti, come Italia viva, che non sono riusciti ad avere loro rappresentanti li avrebbero eletti. Una tale modifica avrebbe consentito di non essere dipendenti dalle grandi aggregazioni nazionali.
Un controllo maggiore della magistratura sul voto di scambio, meccanismo generalizzato, potrebbe contribuire a liberare quel consenso per ora bloccato.

La presenza di un partito localizzato tipo la Lega aiuterebbe il Mezzogiorno a evitare che vengano varate leggi che lo penalizzino o provvedimenti come la distribuzione delle risorse del Pnrr che lo vedano perdente e non rispettino l’algoritmo costruito dall’Unione. O che le risorse dell’Unione vengano utilizzate non come risorse aggiuntive ma sostitutive. Molto si può fare, ma bisogna partire dalla consapevolezza che il sistema è malato.


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