INDICE DEI CONTENUTI
- 1 NORME CONTRO LA CARTA
- 2 UNA BATOSTA PER TANTI
- 3 AUTONOMIA A PEZZI, ECCO TUTTI I RILIEVI DELLA CONSULTA
- 4 AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA CONSULTA BOCCIA ANCHE L’IPOTESI DEL DPCM
- 5 AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LE ALTRE INTERPRETAZIONI DELLA CONSULTA
- 6 AUTONOMIA DIFFERENZIATA, LA CONSULTA: INTERVENGA IL PARLAMENTO
- 7 UNITÀ D’ITALIA A RISCHIO
La Corte Costituzionale ha fatto a pezzi la legge sull’autonomia differenziata, ecco i punti critici che la Consulta considera incostituzionali
La Consulta smonta lo Spacca-Italia. Pezzo a pezzo, articolo per articolo. La legge 86 firmata Roberto Calderoli è da rifare. O meglio: da cestinare (come questo giornale chiede da tempo). E poco importa se per la Suprema Corte la questione di legittimità dell’intero provvedimento non sia fondata. Anche in passato le interpretazioni sull’inammissibilità sono state sempre molto contrastanti. Importa che nella sostanza il comunicato stampa diffuso al termine della Camera di consiglio dalla Corte sia già una sentenza. Una pietra tombale sull’autonomia in salsa leghista e sulla cosiddetta “secessione dei ricchi”. Il sistema immunitario del Paese ha reagito. E ora?
«Ora il governo si fermi, l’unità nazionale è un valore che non può essere messo in discussione» è il commento di Piero De Luca, deputato dem che sintetizza così il pensiero del suo partito.
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NORME CONTRO LA CARTA
La legge a trazione leghista contiene «disposizioni illegittime», interpretazioni fuorvianti dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione. In molti punti è contraria ai principi dettati dalla Carta: tutte o quasi le argomentazioni portate dagli avvocati delle regioni ricorrenti – Puglia, Toscana, Sardegna, Campania – sono state accolte. Al punto che la richiesta di referendum, avanzata dai comitati contro l’autonomia differenziata, da Cgil e Uil e dai partiti del centrosinistra dopo lo straordinario successo della raccolta firme – in base all’articolo 75 della Carta- a questo punto non serve più.
Per i togati l’art. 116 comma 3 riconosce, «insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio».
E ancora: «I giudici – si legge – ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni».
UNA BATOSTA PER TANTI
Non è un brutto colpo solo per la Lega, per il ministro pasdaran Calderoli e per il governatore del Veneto Zaia, che proprio oggi – destino amaro – presenterà il suo libro-spot. Fischieranno le orecchie anche a chi, nella maggioranza, ha sostenuto questa legge sbagliata solo per compiacere i desiderata di Salvini e delle sue nostalgiche camicie verdi.
A uscirne male – diciamolo – è anche il Comitato dei cosiddetti “saggi” guidato da Sabino Cassese, il costituzionalista di chiara fama che aveva spianato la strada alla legge individuando persino 9 materie in cui non sarebbe stato necessario determinare i Lep. E con lui tutti i consulenti della Lega arruolati per semplificare l’iter in un clamoroso conflitto di interessi.
AUTONOMIA A PEZZI, ECCO TUTTI I RILIEVI DELLA CONSULTA
«L’autonomia differenziata – riportiamo testuale il comunicato della Consulta – deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini».
Poi ci sono i punti ritenuti a tutti gli effetti in contrasto con la Costituzione: «La possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscono materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà; il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LA CONSULTA BOCCIA ANCHE L’IPOTESI DEL DPCM
La previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) a determinare l’aggiornamento dei LEP; il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP; la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito.
In base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA: LE ALTRE INTERPRETAZIONI DELLA CONSULTA
La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge; l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo; la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata; la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
L’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso; la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico».
AUTONOMIA DIFFERENZIATA, LA CONSULTA: INTERVENGA IL PARLAMENTO
Spetta infine al Parlamento, ha chiarito la Consulta, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.
I giudici avevano dinanzi a loro un sentiero stretto. Le ragioni per rigettare una legge sbagliata e dichiararla incostituzionale sono state messe sul tavolo.Puglia, Toscana, Sardegna e Toscana, ognuna in distinte aree tematiche, hanno contestato dalla lettera alfa alla lettera omega, l’interpretazione dell’art. 116 terzo comma. A partire dalla necessità stessa di adottare una legge quadro: l’articolo 116 non prevede infatti l’indicazione di una legge specifica (con buona pace dell’ex ministro dem Francesco Boccia che lavorò inutilmente in questa direzione). La legge 86 vìola infatti il criterio gerarchico e pretende di regolare anche le leggi successive. Cosa che la nostra Costituzione non consente.
UNITÀ D’ITALIA A RISCHIO
Smantellato l’ossimoro in base al quale una legge a invarianza finanziaria potrebbe essere collegata alla legge di Bilancio – la “ideona” dello stratega Calderoli per blindare lo Spacca-Italia. Tutte le regioni ricorrenti hanno impugnato i primi 4 articoli della legge 86. In particolare, la parte riguardante le intese governo-regioni che potrebbero avere come oggetto tutte le materie senza dover dare dunque alcuna motivazione.
In base a cosa e perché una regione dovrebbe chiedere la gestione di una o più funzioni o di intere materie attualmente di competenza dello Stato? Maggior efficienza? Economicità? Chi lo ha detto? E come si dimostra? Vista la qualità della gestione di funzioni oggi di competenza regionale (una a caso: la sanità) verrebbe casomai da proporre il contrario.
La legge 86/2024 avrebbe potuto pregiudicare l’unità della Repubblica, la potestà legislativa concorrente poteva venire meno fino a realizzare addirittura una nuova forma di Stato. Per questo l’abbiamo combattuta. E continueremo a farlo.
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