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«NEGLI ultimi dieci anni c’è stata una perequazione alla rovescia». Più delle parole del presidente della Svimez, Adriano Giannola, audito ieri alla Camera, contano i numeri, i dati, i grafici che misurano la febbre del Mezzogiorno. La certificazione, nero su bianco, che il Meridione «ha lasciato sul campo 60 miliardi di euro», cioè una parte rilevante delle risorse destinate a finanziare gli investimenti pubblici nell’area più svantaggiata del Paese. Agli atti della commissione Finanze c’è da ieri la ricostruzione, per filo e per segno, di una fase storica: il federalismo all’italiana, un misto di iniquità, numeri truccati, diritti violati e disuguaglianze diffuse.

L’indagine conoscitiva portata avanti dalla Commissione presieduta da Carla Ruocco ha toccato il suo punto nevralgico. Il modo in cui è avvenuta la ripartizione delle quote pro-capite delle Regioni. L’artificio grazie al quale, per anni, sono stati presi in considerazione solo i mandati della Ragioneria generale dello Stato e non «i flussi di pagamenti effettivamente realizzati». Ignorando, dunque, tutto il resto: la spesa aggregata, i conti pubblici territoriali (Cpt) e le spese della pubblica amministrazione. «Una sottostima dell’informazione – ha messo il dito nella piaga la dottoressa Mariella Volpe, membro della Commissione Svimez sul Federalismo e già direttrice generale dei Conti pubblici territoriali – basata su un solo operatore, meno della metà della spesa dello Stato, una regionalizzazione pari al 43 per cento. Solo l’agire complessivo di tutti i soggetti che fanno parte del settore pubblico può misurare la sperequazione».

IL GRAFICO DELLA VERGOGNA E L’OPERAZIONE VERITÀ

«L’operazione verità – è la tesi del presidente Svimez – è servita far emergere i rapporti di finanza pubblica tra Stato e Regioni». Non aspetti formali, ma il modo in cui grazie a un cinico contabile sul sito del ministero degli Affari regionali venne pubblicato dall’ex ministro Erika Stefani un grafico con tanto di tabelle sulla spesa pro-capite per giustificare una forma di federalismo perverso. «Fu allora – ha ricordato Giannola – che il governatore del Veneto, Luca Zaia, il 4 marzo 2018 avanzò la richiesta di trattenere sul territorio le risorse. Ma il residuo fiscale non è altro che una partita contabile interpretata in forma contraria». Una fake news. Si prese in considerazione solo il 43% delle risorse che la Ragioneria dello Stato (RgS) girava alle Regioni pur di far risultare che se perequazione doveva esserci, a beneficiarne non doveva essere il Sud «inefficiente e sprecone», ma il Nord.

FEDERALISMO COMPETITIVO

Rovesciare questo sconvolgente luogo comune basato su una falsità geopolitica non è stato semplice. Gli studi della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, confermati ieri punto per punto dall’economista Mariella Volpe, hanno dimostrato esattamente il contrario. Spesa aggregata, spesa PA, comparto Spa (Ferrovie, Poste, Anas) danno un quadro del tutto diverso. La distribuzione in percentuale, al netto degli interessi, delle risorse della RgS è andata per il 62,6% al Centro Nord e per il 37,4% al Sud. Nel dettaglio: Cpt 33,3%: PA 30%; settore pubblico allargato (Spa) 29%. «Da quando esistono le regole per la distribuzione delle risorse – ha chiosato Giannola – ovvero dalla definizione della Legge 42 del 2009, le regole sono state disattese. Anziché andare verso un federalismo cooperativo si è scelta la strada del federalismo competitivo.

Ma dovrebbe essere lo Stato – ha ammonito Giannola – a porre le premesse perché non via sia un conflitto redistributivo, trasformare i diritti in beni pubblici regionali vorrebbe dire disarticolare il tema dei diritti». Ora immaginate per un istante un Sud più ricco e sviluppato del Nord. E uno Stato che anziché distribuire in modo equo le risorse lesinasse finanziamenti a Lombardia e Veneto, mistificando la realtà, confondendo i dati, generando tabelle parziali e incomplete. Immaginate Milano scollegata da Torino o da Venezia, senza alta velocità, senza aeroporti, strade, autostrade. Che direbbero i governatori Zaia e Fontana? Come la prenderebbero se qualcuno, conti alla mano, dimostrasse che negli ultimi 10 anni lombardi e veneti sono stati scippati per 60 miliardi?

L’INDAGINE CONOSCITIVA FISSA UN PUNTO FERMO

Da ieri l’indagine conoscitiva ha fissato un punto fermo. «Bisogna superare il discorso Nord/Sud – ha ribadito la presidente della commissione Finanze, Carla Ruocco – serve un’idea di Paese, far emergere l’interesse di una parte sola sarebbe strategia di basso cabotaggio, se non si sviluppa una parte del Paese non si sviluppa neanche l’altra». L’indagine parlamentare prosegue in parallelo, con il cammino della legge quadro approvata dai governatori delle Regioni e portata avanti dal ministro agli Affari regionali Francesco Boccia. Per il presidente della Svimez, Adriano Giannola, è un «cambio di passo importante». Con una criticità: la definizione del Lep ritardata di 12 mesi. «In Italia – osserva il professore – non c’è nulla di più definitivo di ciò che è transitorio».

Il rischio è che si continui sulla falsa riga della spesa storica. «Ai Lep ci si lavora dal 2001 – ha ricordato la Volpi – e definirli potrebbe richiedere un tempo più lungo di 12 mesi». Allora? «Se proprio non ce la facciamo, abbiamo elementi sufficienti per ricostruire la spesa storica media di lunghissimo periodo, un calcolo che si basa su dati certi, certificati negli ultimi 20 anni».


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