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LA POPOLAZIONE del Mezzogiorno (circa 20 milioni di persone) è superiore a quella di 20 dei 27 Paesi dell’Unione europea. Ce n’è abbastanza per capire come sia importante il fato del Mezzogiorno, dato il doppio dualismo –  Nord/Sud e Italia/Europa –  che segnala un doppio e crescente divario di crescita a sfavore del Sud e dell’Italia. Per i lettori di questo quotidiano tale divario non è certo una novità: il passato e il presente sono stati più di una volta analizzati su queste pagine. Ma il futuro?

IL CALO DEMOGRAFICO

Un recentissimo studio di quattro economisti della Banca d’Italia («La crescita dell’economia italiana e il divario Nord-Sud: trend storici e prospettive alla luce dei recenti scenari demografici», di Marta De Philippis, Andrea Locatelli, Giulio Papini e Roberto Torrini) guarda, appunto, ai decenni a venire. «Le previsioni sono sempre difficili, specie quando riguardano il futuro» recita un’antica battuta. Ma, per quanto riguarda almeno la demografia, le previsioni sono meno aleatorie.  Gli andamenti presenti – per natalità e mortalità – hanno già dentro, con alta probabilità, gli andamenti futuri della popolazione, sia quella totale che quella in età di lavoro. E queste proiezioni sono preoccupanti (vedi il grafico sulle tendenze demografiche da qui ai prossimi vent’anni).  A differenza delle definizioni della popolazione in età di lavoro che si usano correntemente (15-64 anni), queste proiezioni usano l’arco 15-74 anni.  

«La scelta di considerare in età lavorativa la popolazione fino a 74 anni anziché fino a 64 anni è dovuta al fatto che, con l’incremento dell’aspettativa di vita e i mutamenti nei comportamenti già in atto, è da attendersi che una quota non piccola delle persone in età più avanzata continuerà a partecipare al mercato del lavoro oltre la soglia dei 64 anni. Sarebbe quindi irrealistico assumere che la partecipazione sia nulla tra i 64 e i 74 anni», recita lo studio (a conferma di questa ipotesi si segnala che chi scrive queste righe ha superato gli 80…).

Come si vede, la riduzione, sia della popolazione totale che di quella in età di lavoro, è impressionante, per le due aree della Penisola, ma più grave per il Sud  (le linee tratteggiate indicano come cambierebbero le proiezioni qualora si assumesse che i flussi migratori interni tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno si annullassero gradualmente in 20 anni, alleviando leggermente il declino della popolazione meridionale in età attiva). In un’ottica di “contabilità della crescita” (growth accounting), il numero di quanti sono in età di lavoro è uno dei fattori che determinano la crescita: gli altri sono il tasso di occupazione (cioè quanti fra coloro che sono in età di lavoro effettivamente lavorano), il tasso d’investimento, e la produttività.

Questa a sua volta si scompone in produttività del lavoro e produttività totale dei fattori: la “polverina magica” che ci dice quanto, del combinato disposto dei progressi della tecnologia, dell’efficienza manageriale e di un “residuo” che va dalla qualità delle istituzioni alla coesione sociale, alla…) va a contribuire alla crescita del prodotto. Come detto prima, le proiezioni demografiche sono la parte più solida dello sguardo sul futuro. Per gli altri determinanti della crescita si possono solo fare ragionevoli ipotesi, per la più gran parte basate sul proseguimento delle tendenze esistenti. Mettendo assieme la demografia e il resto, le proiezioni (gli autori fanno vari scenari) per la crescita italiana e del Mezzogiorno sono sconfortanti.

Proseguendo negli andamenti negativi degli ultimi vent’anni relativi al peso del Mezzogiorno nel Pil e nella demografia (vedi i grafici), l’attività economica – non solo nel Sud ma nell’Italia – andrà presto a ridursi.

CALO ECONOMICO IN VISTA IL SUD RISCHIA DI PIÙ  

«In prospettiva, dati gli scenari demografici e in assenza di significativi aumenti della partecipazione al mercato del lavoro e di un ritorno alla crescita della produttività, l’economia italiana sarebbe destinata a contrarsi dalla seconda metà del decennio in corso. Il calo sarebbe più forte nel Mezzogiorno, caratterizzato da tendenze demografiche significativamente peggiori, anche a causa del saldo migratorio interno strutturalmente negativo».  Certo, si tratta di esercizi contabili, «che tuttavia sono in grado di restituirci una valutazione delle condizioni necessarie per ottenere ritmi di crescita sostenuti, e dei rischi derivanti dall’invecchiamento e dalla riduzione della popolazione e dall’eventuale perdurare di un andamento stagnante della produttività, sia per il Paese nel suo insieme sia per le due macroaree».

Ci sono luci in fondo a questo tunnel? Sì e no. No, perché nell’immediato il punto di partenza di queste proiezioni è stato ricacciato in basso, dato il triste scenario della guerra in Europa e dei rischi reali di recessione. Sì, perché queste amare tendenze di fondo non fanno altro che rafforzare l’urgenza di usare il Pnrr – i fondi non mancano, basta solo saperli mettere a profitto – per sciogliere i nodi che hanno azzoppato la crescita negli ultimi vent’anni, allargando il “doppio dualismo” menzionato in precedenza.

Sugli interventi di politica economica necessari per invertire le “amare tendenze”, gli autori si schermiscono, ma non troppo: «Un’analisi degli interventi di politica economica va oltre le ambizioni di questo lavoro, che si limita alla descrizione dei trend storici e delle sfide poste all’economia italiana e alle due macroaree del Paese dalle negative tendenze demografiche. È tuttavia necessario almeno accennare al ruolo che gli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potranno avere per un rilancio del processo di crescita, in particolare nel Mezzogiorno. Da questo punto di vista saranno certamente importanti i programmi di investimento contenuti nel Piano, che potranno guidare una ripresa del processo di accumulazione. Tuttavia se gli investimenti non saranno in grado di riavviare la crescita delle produttività totale dei fattori il loro impatto sarà necessariamente confinato al breve periodo e non incideranno sulle prospettive di lungo periodo… In particolare, l’efficacia degli investimenti e delle più ampie iniziative di riforma contenute nel Pnrr dipenderà criticamente dalla loro capacità di incidere strutturalmente sull’ambiente economico e sulla qualità dei servizi pubblici, in modo da favorire l’iniziativa economica privata e l’efficienza complessiva del sistema produttivo meridionale».


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