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Più poveri, sfiduciati, attratti dalle nuove tecnologie ma sensibili alla disinformazione e al complottismo. Il Censis – nel 55esimo rapporto sulla situazione sociale nel Paese 2021 – scatta la fotografia dell’Italia che prosegue il lungo percorso di uscita dalla pandemia di Covid.
Ne emerge il quadro di una popolazione su cui non sembrano attecchire – in termini di mood complessivo – le previsioni di crescita economica e la stagione delle riforme avviata dal governo Draghi. Ma, soprattutto, si palesa un sistema Paese caratterizzato da storture, arretratezze e disuguaglianze che si alternano a cambi d’abitudini destinati a perpetuarsi.
Un dato su tutti sintetizza l’umore degli italiani in questa, difficile, fase storica: per il 66,2% degli intervistati si viveva meglio in passato, mentre per il 51,2% – nonostante il robusto rimbalzo del Pil – la crescita economica è solo un’illusione che non consentirà di tornare al benessere di un tempo.
Certo, ci sono anche altri indicatori che sembrano suffragare un pensiero diffuso così pessimistico. A partire da quello della povertà. Nel 2020 le famiglie che si trovavano in una condizione di assoluta indigenza erano 2 milioni, cioè il 104,8% in più del 2010 (quando erano 980mila). E qui il tradizionale paradigma geografico si inverte, perché l’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), seguito dal Sud (+93,8%) e dal Centro (67,6%). In generale fra i nuclei caduti in disgrazia durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno e il 14% al Centro.
La mitizzazione del passato viene sostenuta da un altro dato: negli ultimi trent’anni, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto, ad esempio, al +276,3% della Lituania, il primo Stato in graduatoria.
Poi, sempre in ambito occupazionale, le disuguaglianze di genere; basti pensare che durante l’emergenza sanitaria sono state 421mila donne che hanno perso o non hanno trovato un impiego. A giugno 2021, fra l’altro, le lavoratrici erano 9 milioni e 448mila, meno di quelle di fine 2020 (9 milioni e 516mila) e lontanissime dai livelli del 2019 (9 milioni e 860mila).
Sul fronte giovani non c’è da sorridere; tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2 milioni e 659mila hanno un diploma (54,2%) e 1 milione 304mila sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. E si rafforza il fenomeno Neet; tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord.
L’altra faccia della medaglia è la crescente dipendenza dei figli nei confronti dei genitori, anche se pensionati. Il Censis mette in evidenza che quasi il 70% degli italiani vede i pensionati come una sorta di bancomat delle generazioni successive.
Distanziamento sociale e restrizioni hanno, in ogni caso, mutato il volto del lavoro, sempre più smart. E, tuttavia, per il 60,7% degli intervistati, in assenza di interventi adeguati, il digitale aumenterà le disuguaglianze tra le persone. Il dato si sposa con quello della scuola, con il 75,6% dei presidi che accusa la Dad di aver accentuato i divari.
La pandemia, in ogni caso, ha accelerato i consumi in innovazione. Alla fine del 2020, la spesa per l’acquisto di telefoni e equipaggiamento telefonico ha segnato un vero e proprio boom, moltiplicando per oltre cinque volte il suo valore (+450,7% nell’intero periodo). Quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori, poi, ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+89,7%). Infine, la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo: -45,9% dal 2007. Sullo sfondo il problema del calo demografico: nel 2020 i nuovi nati sul 2019 sono stati il 3,9% in meno con maggiore incidenza nelle zone più colpite dai contagi.
La pandemia, insomma, in parte ha accelerato processi, in parte ha stravolto equilibri decennali; ma come leggono gli italiani questa fase storica? L’ottimismo prevale relativamente alle tempistiche di uscita dall’emergenza: il 56,3% ritiene che nel giro di un anno archivieremo definitivamente mascherine e distanziamento sociale.
Ma, nel contempo, cresce il complottismo sul Covid. Per il 5,9% (3,9 milioni di persone) il coronavirus non esiste, mentre per il 10,9% il vaccino è inutile per il superamento dell’epidemia. Per il 31,4% di questi ultimi, poi, i sieri sono solo farmaci sperimentali destinati a vere e proprie cavie umane. Più folkloristico (ma emblematico sulla disinformazione) il dato sui terrapiattisti (il 5,8%), su chi non crede che l’uomo sia andato sulla Luna (10%) e su quanti vedono nel 5g uno strumento per il controllo delle persone (19,9%)
Resta non buona l’opinione degli italiani sulla politica: negli ultimi turni elettorali la metà degli aventi diritto non ha votato, poco meno del 50% ha fiducia nei governi e solo il 21% pensa che l’azione delle istituzioni abbia prodotto risultati nel contrasto all’emergenza sanitaria. Ma le aspettative per il Pnrr sono buone: il 30% considera il piano e le risorse Ue elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per i lavoratori e le famiglie.
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