Gino Strada, fondatore di Emergency
4 minuti per la letturaLe lodi sperticate (ma meritate) per Gino Strada sono, come dice il suo caro amico Moni Ovadia, l’ennesima dimostrazione di un Paese ipocrita.
Gino Strada in vita è stato molto criticato, anche ferocemente, da quelle stesse persone che adesso sui giornali si sprecano nel ritratto dell’”italiano buono” che salvava la gente dalla morte. Certo Strada era soprattutto questo, un buono, un uomo impegnato nell’umanitario, ma dire buono non vuol dire fesso.
Strada era un critico puntuale e spietato della società contemporanea, un osservatore attento della politica internazionale, del comportamento nostro e delle grandi potenze, assai responsabili dei disastri che vediamo davanti ai nostri occhi, dall’Afghanistan, al Medio Oriente, all’Africa.
Molti di quelli che oggi lo santificano sui giornali e chiedono per lui il Nobel, sono gli stessi giornalisti e opinionisti che per 20 anni hanno appoggiato le guerre americane, dall’Afghanistan all’Iraq. Alcuni di loro tra l’altro _ aggravante massima _ non hanno mai messo piede in questi luoghi o lo hanno fatto per prendersi soltanto una veloce abbronzatura esotica. Sono gli stessi sprovveduti che hanno avallato le bugie di Bush junior e di Blair sulle armi distruzione di massa di Saddam Hussein. Sono coloro che non si sono mai accorti che in Afghanistan le cose andavano male da anni. Che non sanno niente di come vive questa gente, di che cosa ha bisogno e soprattutto che cosa pensa di noi occidentali.
Gino Strada era contro queste guerre che i politici italiani, i giornali italiani, hanno sostenuto con ogni argomento e contro ogni logica. Vedeva la gente morire, le ferite sanguinare e ascoltava con i suoi medici e collaboratori quel che pensava la gente del posto, senza la mediazione della retorica. Perché qui da noi non siamo soltanto davanti a degli ipocriti ma anche a gente decisamente ignorante o in mala fede che teme ogni volta di esporsi con un’idea o un’opinione controcorrente perché teme di mettere a rischio la sua miserevole carriera. Prendete il nostro ministro degli Esteri attuale fa parte di un movimento che in molti casi si è espresso, in passato e anche oggi, come Gino Strada contro le guerre e contro la presenza delle nostre truppe in Afghanistan o in Iraq. Adesso loda a ogni piè sospinto gli Usa e la Nato, senza se e senza ma. Salvo poi accorgersi, con impercettibile ritardo, che dopo avere ammainato la bandiera a Herat bisogna fare subito i bagagli anche da Kabul. Vedete in che mani siamo?
Gino Strada, come tanti altri in questo Paese che dedicano la vita agli altri, serviva e serve a questa Italia di ipocriti per lavarsi le coscienze. Alcune volte non ero d’accordo con le cose che diceva o con l’analisi di certe situazioni. Ma non era importante che lo fossi o meno. L’importante era che ci fosse una voce alternativa, un punto di vista diverso di cui tener conto. E lui era una di queste voci. Parlava anche per quelli che non contano o che restavano in silenzio. Questo era il valore morale di Strada, il suo peso anche “politico” in senso lato. Parlava anche per quei politici che non hanno il coraggio di farlo, e da noi sono la maggior parte: quante volte mi danno ragione in privato sul Medio Oriente, la Libia o l’Afghanistan e poi si allineano con la versione americana e atlantista?
Gino Strada veniva convocato dai politici quando serviva e si era al limite della disperazione. Come nel caso del rapimento in Afghanistan nel 2007 del giornalista Daniele Mastrogiacomo. In quel periodo Strada riceveva quasi ogni giorno a Kabul i giornalisti italiani, è stato il momento in cui l’ho conosciuto meglio anche se gli ospedali di Emergency costituivano da sempre un punto di riferimento per gli inviati. Il suo mediatore Hanefi fu decisivo per liberare Mastrogiacomo ma venne tenuto in carcere per tre mesi come complice dei talebani. Questa vicenda in queste ore è passata magari sotto traccia ma è indicativa delle difficoltà a vivere come ha fatto Gino Strada, con generosità.
La verità è che è sempre stato scomodo: il mondo migliore in cui sperava da giovane, diceva, non si era mai realizzato. Non per questo si è mai arreso. Perché era un combattente, della pace, ma un combattente.
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