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CERTO c’è il problema dell’ammontare dei quattrini che il Recovery destinerà al Sud, ma questo rischia di essere l’ultima della questione. Il problema è a monte ovvero la situazione in cui versano molti comuni del Mezzogiorno che rischiano di perdere definitivamente l’aderenza con il resto del Paese. Il blocco del turn over ha creato macchine burocratiche limitate nel numero e con una età media molto alta. I tagli costanti nei trasferimenti statali hanno portato diversi municipi al default economico-finanziario. Insomma il rischio è di arrivare all’appuntamento del Recovery Fund senza progetti da presentare e senza personale che li possa redigere e attuare.
Per questo anche ieri i sindaci che si sono riuniti sotto la sigla “Recovery Sud” hanno nuovamente manifestato davanti Palazzo Chigi chiedendo maggiore attenzione alle municipalità del Mezzogiorno.
Fra i manifestanti c’era anche il senatore di Italia Viva, Ernesto Magorno che è anche sindaco di Diamante, rinomato centro turistico del tirreno cosentino. In piazza Montecitorio a Roma con i Sindaci del RecoverySud. «Continuiamo a lavorare per mettere al centro il Mezzogiorno – ci ha detto – una parte d’Italia che non può restare indietro. Se da un lato ci sono stati segnali positivi, come l’emendamento che ha vincolato il 40% delle risorse per il Sud, dall’altro ci sono ancora tante tematiche da affrontare per ottenere un giusto trattamento. I cittadini del Meridione non sono cittadini di serie B e noi non ci stancheremo di lottare per loro. Sia dato al Sud ciò che è del Sud!».
Proprio intorno a questi numeri si articola la polemica dei sindaci meridionali. Le quote del recovery sono state divise dall’Ue sulla base sostanzialmente di tre criteri: popolazione; Reddito pro-capite; tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni.
Se l’Italia ha avuto una fetta così consistente (209 miliardi) il merito, se così si può definire è proprio della situazione del Sud d’Italia. In base allora ai criteri di riparto del regolamento della Ue, al mezzogiorno dovrebbe spettare una quota pari al 70%. Invece solo il 40% è vincolato, mentre il restante 60% sarà messo a gara a livello nazionale.
«Abbiamo cercato, per la prima volta nella storia dell’Italia – spiega Davide Carlucci, sindaco di Acquaviva delle Fonti e coordinatore della Rete – di mettere insieme tutte le anime e tutti i Comuni che cercano di avere nel nostro territorio le stesse infrastrutture e servizi di tutto il Paese». Secondo Carlucci occorre «incrementare il fondo per la progettazione, affidando direttamente, senza gara, fondi per la creazione di un parco progetti coerente con le linee guida del Pnrr in base alle necessità locali e in misura proporzionale alla popolazione».
Fra i manifestanti anche la sindaca di Cariati, in provincia di Cosenza, Filomena Greco, che sottolinea la situazione delle infrastrutture immateriali del Mezzogiorno, in particolare per quanto riguarda la digitalizzazione. Nonostante i grossi fondi previsti per questo capitolo nel Meridione c’è il problema delle reti che non coprono gran parte delle aree interne e soprattutto delle competenze digitali che mancano in particolar modo nella pubblica amministrazione. Al termine della manifestazione Magorno e Calucci hanno contattato la Sottosegretaria al Sud e alla Coesione Dalila Nesci che si è detta disponibile ad incontrare al più presto una delegazione di questi sindaci per ascoltare le loro istanze.
«Siamo grati ovviamente al Sottosegretario per l’attenzione che ci ha riservato – conclude Magorno – Noi abbiamo ben chiari i punti da sottoporle. C’è certamente la grande partita del Recovery, ma occorre inoltre fermare i progetti di autonomia differenziata che aumenterebbero ancora di più le disparità fra cittadini dello stesso Paese nell’accesso alla sanità, all’istruzione, e ad altri diritti fondamentali».
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