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Emanuele Felice

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Per Emanuele Felice il Sud rischia l’eutanasia: “L’Autonomia, con i Lep differenziati a livello territoriale aumenterà il divario e darà una spinta all’emigrazione”


Da una parte il Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, che riconosce i passi avanti realizzati dal Sud dal 2019 al 2023, quando la crescita è stata più forte rispetto al Nord e si è ridotto il divario fra le aree ricche e quelle povere del Paese. Dall’altra, la nuova versione, riveduta e (s)corretta dell’Autonomia differenziata, con il documento di un gruppo di esperti nominati da Cassese che prevede i livelli essenziali delle prestazioni, i famigerati Lep, differenziati per caratteristiche territoriali. Emanuele Felice, storico ed ex responsabile economia del Pd, non usa mezze parole: “Il Sud rischia l’eutanasia”.

Professore, il governatore di Bankitalia ha riconosciuto che il Sud sta andando bene. O, meglio, è andato bene fra il 2019 e il 2023. Ma bisogna rafforzare il trend. Come?

“Il Sud è andato bene perché in questo periodo ci sono stati per la prima volta da molti anni a questa parte, massicci investimenti oltre a misure come la decontribuzione sul lavoro. Il Mezzogiorno ha mostrato di essere fortemente ricettivo rispetto a queste politiche. Che devono e possono essere solo politiche nazionali. Il Sud può essere il vero luogo dove si può concentrare una crescita rapida dell’Italia, perché ha un forte potenziale di convergenza e perché il Nord, tradizionale subfornitore della Germania, si è arenato nelle secche della recessione tedesca. Insomma, la crescita del Sud richiede investimenti e una pianificazione strategica nazionale e europea. Una logica diametralmente opposta a quella dell’Autonomia differenziata”.

Sta dicendo che la riforma Calderoli può frenare la crescita del Sud o, addirittura, interromperla?

“Nella storia d’Italia il Sud è cresciuto anche più del Centro-Nord, contribuendo allo sviluppo dell’intero Paese, quando lo Stato ha investito nel Mezzogiorno supplendo alla carenze della classe dirigente locale. Il Sud è, invece, andato indietro quando si è fatto affidamento su una classe dirigente locale estrattiva e quando si sono ridotti i trasferimenti. Come è successo negli anni Settanta e Duemila. La decurtazione delle risorse negli ultimi 20 anni ha prodotto una maggiore emigrazione. L’Autonomia accentuerà il taglio delle risorse e spingerà ancora più meridionali a scappare. Il Sud andrà incontro all’eutanasia”.

Però i sostenitori dell’autonomia sostengono che il Sud ha sprecato le risorse assegnate. Quindi, si possono ridurre?

“Si può sempre spendere meglio. Ma la storia ci insegna che questo obiettivo non si può raggiungere riducendo semplicemente le risorse, affamando, per usare un’espressione colorita in voga qualche anno fa, la bestia”.

Il Professor Cassese ha riconvocato i saggi per definire i Lep. Una commissione di 12 saggi ha dichiarato che vanno definiti sulle caratteristiche dei diversi territori: clima, costo della vita, tendenze socio-demografiche. Che cosa succederà?

“Non sono sicuro che i Lep siano fedeli al dettato costituzionale, io preferirei ambire ad avere livelli “uguali” delle prestazioni. Ora, addirittura, si profilano Lep meno costosi al Sud (e quindi con meno risorse). Ma c’è di più. Sono solo tre gli ambiti, in cui bisogna definire i livelli essenziali delle prestazioni: sanità, istruzione e trasporti locali. Negli altri ambiti l’autonomia può procedere anche senza Lep. La partita che si sta giocando nel centrodestra è proprio questa. Forza Italia vuole aspettare la definizione dei Lep, la Lega vuole partire subito…”

Nel frattempo, c’è la proposta di referendum. Condivide il quesito che prevede un’abrogazione totale?

“Il referendum con abrogazione parziale sarebbe stato più difficile da comunicare all’opinione pubblica. Questa è una grande battaglia politica che riportare l’attenzione nazionale sul Mezzogiorno e la questione meridionale. Non so se vinceremo nè se la Corte Costituzionale ammetterà il quesito. Ma dobbiamo uscire da un grande equivoco: non basta fermare l’autonomia per risolvere i problemi del Sud. Lo status quo non va bene”.

Ma davvero al Nord conviene l’autonomia?

“Se noi immaginiamo che le singole regioni gestiscano ciascuna, per proprio conto, la politica industriale commerciale o energetica, avremmo un’Italia Arlecchino che non farebbe neanche gli interessi del Nord. Ma può avvenire anche che le regioni settentrionali trovino un accordo per gestire in comune le materie delegate, come prevede l’ultimo comma dell’articolo 117 della Costituzione. In questo caso l’operazione potrebbe stare in piedi ma avremmo di fatto spaccato il Paese in macro-regioni o in mini-Stati. In ogni caso la riforma sfascerebbe l’Italia. E non so se Fdi abbia davvero la piena consapevolezza di poter diventare il partito che ha distrutto l’Unità nazionale”.


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